‘IN TREATMENT’, CASTELLITTO SALUTA I PAZIENTI: “IL DUBBIO NON PUÒ CONTINUARE ALL’INFINITO”

‘IN TREATMENT’, CASTELLITTO SALUTA I PAZIENTI: “IL DUBBIO NON PUÒ CONTINUARE ALL’INFINITO”

Ultima stagione della serie diretta da Saverio Costanzo e Edoardo Gabbriellini, dal 25 marzo su Sky. Sul divano dello psicanalista anche Margherita Buy, Brenno Placido, Domenico Diele, Giulia Michelini

IN CRISI con se stesso, col mestiere che fa, il dottor Giovanni Mari (Sergio Castellitto) accoglie nel suo studio nuovi pazienti facendo continuamente a se stesso una sola domanda: ma la psicanalisi alla fine è utile? Il 25 marzo arriva la stagione finale di In treatment diretta da Saverio Costanzo e Edoardo Gabbriellini; sarà trasmessa ogni sabato, con cinque nuovi episodi in esclusiva su Sky Atlantic HD e Sky Cinema Uno HD dalle 21.15. Le singole puntate vanno in onda anche dal lunedì al venerdì, alle 19.40 su Sky Atlantic HD e alle 20.30 su Sky Cinema Cult HD. E per chi non resiste, per la prima volta tutti i 35 gli episodi della serie sono disponibili su Sky Box Sets.
Lo psicanalista Mari accoglie Rita (Margherita Buy), celebre attrice in crisi, che non ricorda più le battute quando recita e soffre per la grave malattia della sorella; bella e misteriosa la figura del sacerdote, padre Riccardo (Domenico Diele), intrappolato nella sua fede, che va in analisi «per ubbidienza» («un bravo sacerdote ascolta, interpreta il meno possibile»). Poi ci sono Bianca (Giulia Michelini), che soffre di claustrofobia; Luca (Brenno Placido), adolescente gay pieno di conflitti interiori: adottato, viene ricontattato dalla madre naturale. La creazione di questi due nuovi personaggi arricchisce l’adattamento italiano, che per il creatore del format israeliano Be Tipul, Hagai Levi, resta la miglior versione internazionale. Stavolta sul lettino dello psicanalista finisce anche la psicanalisi, con i mille dubbi di Mari che passa notti insonni, si sente in trappola (evoca l’immagine di «un topo con le zampe bloccate dalla colla») e intraprende un percorso complesso con Adele (Giovanna Mezzogiorno), la psichiatra che lo mette di fronte a se stesso. «Abbiamo passato giornate di lavoro dure, ma sono state anche vitali» dice Castellitto. «Io sono un attore molto docile, non servile, ma obbedisco volentieri ai registi». Costanzo lo interrompe ridendo: «Docile è troppo…».
Per gli attori il divano di In treatment è un banco di prova. «Dopo aver girato questa serie niente può farmi più paura» dice Margherita Buy, «è stata una sfida, in effetti c’è un problema che riguarda la memoria, i ciak sono lunghi, i dialoghi importanti. Dopo In treatment ora posso fare tutto». Brenno Placido si è innamorato del suo personaggio «un ragazzo omosessuale, non comunica con i genitori adottivi, reprime le emozioni. Solo in terapia riesce a tirare tutto fuori». Mentre Domenico Diele, che interpreta Padre Riccardo, ha trovato interessante il duello con lo psicanalista: «C’è un contrasto tra lo psicoterapeuta e il sacerdote, la confessione è un luogo di incontro tra i due mondi». «Bianca è un fiume in piena», dice Giulia Michelini «va arginata. Il suo linguaggio non è consueto, il personaggio è bellissimo, era in piedi già da sé; poi gli ho dato il colore che serviva, spero. Un personaggio nelle mie corde. È stata una esperienza appagante ma anche frustrante».
Le parole come effetti speciali, la serie scritta da Ilaria Bernardini con Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo (supervisione di Nicola Lusardi) ricrea la magia del teatro, lo spettatore sembra spiare una seduta di analisi. «In treatment è un lavoro molto duro», spiega Saverio Costanzo «per gli attori è complicato riuscire a mantenere la concentrazione per ciak che durano anche 30, 35 minuti. Facciamo prove su prove. Giriamo quasi in presa diretta». Non a caso, il sogno del produttore Lorenzo Mieli che con Wildside realizza la serie, è sempre stato quello di trasmettere una puntata in diretta.
«Peccato che sia l’ultima stagione, ma la forza di In treatment è anche quella di concludersi; è una fine naturale» dice Castellitto, «per noi è stato un lavoro duro ma anche divertente, interessante, c’è una qualità della scrittura che non si trova facilmente. In treatment è l’esaltazione del lavoro dell’attore». Hagai Levi sorride: «Quello italiano è il miglior adattamento, lo confermo. So che è molto faticoso il progetto, io mi sono fermato alla seconda stagione. So bene quanto sia stato difficile per Sergio sedersi per anni su quella sedia. L’attore della versione originale israeliana la definiva “la sedia elettrica”. È mancato due anni fa». «Ah, ecco perché si chiama “stagione finale”» ironizza l’attore. «In Italia» spiega ancora Levi «non è stata fatta solo una traduzione, ma sono stati creati personaggi che hanno un legame con il contesto locale. Per me la terza stagione sarà sicuramente la migliore, perché è originale, non è un adattamento. Questo non è un format, non è X Factor. È la storia di un terapista e dei suoi dubbi su quello che fa. L’essenza della serie è questa: il dubbio non può continuare all’infinito. La storia deve finire».
«La tv» dice Andrea Scrosati, executive vice president programming Sky Italia «ha la capacità di prendere un prodotto, spremerlo come un limone e distruggerlo. Sono convinto che sia un errore, non solo perché distrugge il valore unico di un’idea ma perché tratta le persone a casa come imbecilli. Il pubblico sceglie; la tv deve smettere di pensare che dall’altra parte ci siano degli imbecilli».

Silvia Fumarola, La Repubblica

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