“Marilyn ha gli occhi neri”: la commedia italiana che parla di salute mentale senza buonismi

“Marilyn ha gli occhi neri”: la commedia italiana che parla di salute mentale senza buonismi

Marilyn ha gli occhi neri tra i film italiani da non perdere

Della divina Monroe si sa ormai tutto. O quasi. Eppure c’è una commedia tutta italiana che arricchisce la leggenda cinematografica con un tocco umano. Si chiama Marilyn ha gli occhi neri (disponibile su Netflix, NOW e dal 3 marzo anche in versione home video), è diretto da Simone Godano e vede come protagonista Miriam Leone. No, non è un biopic e il tasso di glamour rasenta lo zero perché stavolta si tratta di un tema delicatissimo – la salute mentale – ma affrontato senza buonismi o retorica.

La trama

All’apparenza Clara (Miriam Leone) sembra una bugiarda patologica e misantropa. Finisce in un centro diurno perché – dicono – ha dato fuoco alla casa. Che sia stato un incidente o meno (si scoprirà con l’evolvere della storia), quando la si conosce poco conta perché si vede che è una tosta, ma che ha subito un intoppo di troppo dalla vita. Diego (Stefano Accorsi) è un altro ospite del centro di cura: un altro irascibile – direbbe l’ex moglie –, uno di quelli che può vedere la figlia solo per pochi minuti e sotto supervisione di un assistente sociale. Ha distrutto la cucina di un locale per cui lavorava e non se ne pente.
A nessuno dei due, in realtà, interessa l’opinione altrui, almeno così dicono. La realtà, spiega lui poco dopo, è che “alle persone non gliene frega niente”. In che senso? 

Lo stigma dei disturbi mentali

Ecco allora lo stigma nei confronti di chi soffre di disturbi mentali. Qui la diversità viene affrontata con ironia e leggerezza, ma toccando tutti i tasti giusti. Ciascuno dei protagonisti ha uno o più talenti, ma non riesce ad incanalare energia e capacità nel modo in cui la società ritiene giusto o almeno accettabile. E così arriva il colpo di genio: Clara apre un profilo internet con la foto di Marilyn Monroe e inizia a postare recensioni fantasiose. Il pubblico del web prende sul serio la descrizione di questo locale che lei descrive come talmente ricercato che “sembra di stare al Village di New York”. Potere della suggestione, la gente inizia a credere che esista.

Il colpo di genio (o di follia)

È così che lei decide di trasformare in maniera poco ortodossa e senza alcun permesso il laboratorio di cucina in un ristorante che offre esperienze artistiche. In un contesto di finzione dichiarata, tutti gli ospiti del centro possono finalmente essere se stessi. Un po’ “sghangherati”, come dice il padre di Diego al figlio, ma pur sempre esseri umani. E così, dice il protagonista, si riescono a mescolare persino sapori sulla carta incompatibili: “Siamo come l’aceto balsamico e la cioccolata”.

Non sarà un’avventura

Parte così un viaggio fisico e metaforico potentissimo, fatto di suggestioni, ricordi ed emozioni. Il tutto amplificato, certo, ma mai portato all’estremo. In maniera delicata e sottile il pubblico viene preso per mano: gli viene chiesto un atto di fede per lasciarsi andare in questo contesto fuori dai canoni ordinari. E chi lo fa viene ricompensato da un racconto delicato, vibrante e a tratti poetico.

Nel panorama dell’audiovisivo made in Italy questa pellicola brilla come un gioiellino tutto da scoprire. Merito di un affresco corale ricco di sfumature e chiaroscuri, di un cast brillante e di una sceneggiatura capace di dosare e calibrare i sentimenti senza perdere mai il file rouge della comprensione e della compassione.

vogue.it

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