Dal prog alla world music, dal teatro all’impegno politico fino alla creazione dei Real World Studios, l’artista che ha piegato la globalizzazione al rock compie gli anni: e il ritmo non si ferma
Era il 1969 e un diciannovenne Peter Gabriel esordiva con la sua band, i Genesis, nell’universo del nascente rock progressivo inglese. Era l’inizio di una fantastica, personalissima avventura nel mondo della musica, che ha portato un tranquillo ragazzo di Chobham, Inghilterra, a diventare una delle più grandi star della musica mondiale. Era un giovane intellettuale del rock, tra i primi a pensare alla musica in termini teatrali, al rapporto con la letteratura e con la musica colta, e assieme ai suoi compagni erano riuscito a portare il rock a un livello superiore di creatività, di spettacolarità, di immaginazione.
Peter Gabriel, a prima vista, non sembra proprio una rockstar. Ed in fin dei conti al mondo patinato del rock&roll non appartiene più da tantissimi anni, da quando cioè, abbandonati i suoi compagni di strada, i Genesis, diede inizio ad una brillante e fortunata carriera, come solista, cantante e autore, creando un suo personalissimo mondo di suoni. Un mondo di suoni costruito all’ incrocio tra naturalismo ed elettronica, tra passato e futuro, tra comunicazione telematica e tam tam elementare. Un modo di suonare che lo ha posto all’avanguardia negli anni ottanta e novanta, in quel territorio di crossover tra culture e sistemi di comunicazione diversi, che ha cambiato radicalmente lo scenario musicale in tutto il mondo. Non solo suoni, però, ma anche parole, idee e sentimenti che lo hanno spinto ad esprimersi in maniera dura anche in politica, contro la Thatcher, a favore di Amnesty International, ma soprattutto contro l’apartheid sudafricano (Gabriel è stato uno dei primi a dedicare a Steve Biko un’intensa e bellissima canzone), e che hanno portato il musicista inglese in prima fila in molte battaglie.
Repubblica.it