(Paolo Giordano, view Il Giornale) Il trio superstar, cialis sale snobbato dalla critica e adorato dal pubblico, ora ci rappresenterà all’Eurofestival. È proprio il cliché del «bel canto» che vorremmo abbandonare… La vittoria sempre più annunciata de Il Volo al Festival adesso ha solo bisogno di conferme. “Snobbati” qui da noi, adorati nel resto del mondo specialmente nelle Americhe, i tre ragazzi poco più ventenni de Il Volo hanno di fronte la sfida più difficile: legittimarsi e legittimare. «Sappiamo che tanta parte della critica non ci applaude, ma noi abbiamo dalla nostra parte il giudizio della gente» hanno detto l’altra sera appena dopo la vittoria. «Ora tocca a voi» ha detto Nek, arrivato secondo ma già in testa nelle uniche classifiche che contino davvero: quella radiofonica e quella di feedback , ossia coinvolgimento emotivo del pubblico.
Filippo Neviani in arte Nek è il vincitore effettivo perché ha stupito tutti, sia chi lo conosce da decenni che chi ha sempre avuto pregiudizi nei suoi confronti. E Malika ha fatto il massimo immaginabile: portarsi a casa il Premio della Critica e mettere d’accordo pubblico e critica. Forse, a pensarci bene, arrivare al primo posto non sarebbe stato altrettanto “autorevole”. Perciò ora a Il Volo tocca la sfida più delicata: convincere. In fondo questi tre ragazzi non hanno fatto altro sin dal 2009 quando si sono conosciuti a Ti lascio una canzone di Antonella Clerici (che l’altra sera tifava per loro su Twitter). Grazie all’intuizione del vulcanico e geniale regista Roberto Cenci (e alla caparbietà di Tony Renis e Michele Torpedine) hanno formato un trio e sono diventati superstar in tempo reale: l’anno dopo il loro disco di debutto è entrato nella Top Ten americana guadagnando subito il disco di platino.
Da lì in avanti i più grandi li hanno elogiati: dal rockettaro Steven Tyler degli Aerosmith fino a Bill Clinton, da Barbra Streisand a Placido Domingo tutti a srotolare complimenti per questi tre ragazzi che già allora non avevano la minima intenzione di fermarsi: Piero Barone, agrigentino, Ignazio Boschetto cresciuto a Marsala, Gianluca Ginoble, abruzzese. Nessuno catalogabile come sex symbol. Tutti depositari di una delle ragioni sociali italiane più famose nel mondo: il bel canto, che sfruttano benissimo. «Dal vivo interpretiamo persino A beautiful day degli U2».
Allora li avevano battezzati come «i tre tenorini» (Clerici dixit ) ma ormai non lo sono più così «ini» e guai se ancora li chiamate così. Dicono di cantare «pop lirico», che è una definizione spuria, una specie di vezzo strategico perché bisogna sempre definire qualcosa per poter trovare uno spazio sul mercato. Ma in sostanza rappresentano benissimo, e anche per un pubblico assai giovane, l’idea che all’estero il pubblico ha della musica italiana. Loro, intesi come gli americani, vogliono che i cantanti del Belpaese siano alfieri del bel canto: signori e signore ecco il Volo e nessuno può dubitare del loro successo.
Però questi tre ragazzi molto sicuri di loro stessi rappresentano anche il cliché dal quale vorremo staccarci da mezzo secolo. E la loro prossima partecipazione all’Eurovision Song Contest rischia di farci tornare indietro – almeno come percezione collettiva – ai tempi di Claudio Villa, icona fantastica e passionale di un’epoca che si presumeva finita per sempre. E anche l’enorme successo al televoto durante la finale di sabato sera (l’Auditel colloca questa edizione di Sanremo al top degli ultimi dieci anni, con una media di 10 milioni 837 mila telespettatori e del 48.64% di share) conferma la loro sintonia pure con la pancia di tanto pubblico italiano. Vedremo se sarà un buon segno oppure se il rischio trash è dietro l’angolo.