Il Festival di Sanremo 2024 è quasi alle porte e come ogni anno si è svolto il primo ascolto riservato alla stampa delle canzoni in gara.
Sono 30 le canzoni in gara in questa edizione che si svolgerà dal 6 al 10 febbraio, la quinta condotta da Amadeus. Confermando la linea già marcata nelle precedenti edizioni, il direttore artistico ha messo in piedi un mix di ballad e brani up tempo, melodia più tradizionale e influenze moderne, per accontentare più gusti, ma più ancora degli anni scorsi prevale un gusto radiofonico con canzoni ritmate. Nel complesso un livello medio-alto all’interno del quale, dopo un solo ascolto, nessuno spicca come favorito.
Nei brani di questo Festival di Sanremo 2024, a spiccare sono soprattutto le assenze. In un ventaglio che punta a essere il più possibile esaustivo del panorama discografico attuale, le presenze di canzoni rock e brani con temi sociali sono davvero residuali. Per le prime bisogna affidarsi a Loredana Berté e, in parte, ai La Sad, per le seconde ci sono giusto Ghali e Dargen D’Amico, peraltro con testi che affrontano temi seri nell’ambito di canzoni leggere. “Qualcosa è arrivato ma temo che per qualcuno sia una scorciatoia – dice Amadeus al termine degli ascolti riferendosi alle canzoni con tematiche importanti -. A me il tema sociale interessa solo se è abbinato a un brano forte. Altrimenti farei un doppio danno: al Festival e al tema sociale stesso”. Per quanto riguarda il rock invece il trionfo dei Maneskin nel 2021, con conseguente esplosione a livello internazionale, non ha fatto da volano per un nuovo movimento come molti si erano aspettati. “Non ricordo di aver ricevuto tra tutte le canzoni per Sanremo Giovani – aggiunge Amadeus -, la proposta di un gruppo rock, forse eccetto gli Omini. Probabilmente ai giovani non interessa oppure chi lo fa non si presenta a Sanremo”.
Nella mattinata Amadeus aveva annunciato la presenza di Russell Crowe come superospite (“Si è proposto lui, mi ha scritto una lettera dicendo che gli avrebbe fatto piacere partecipare – ha spiegato il conduttore e direttore artistico -. Verrà a sue spese una volta terminato di girare il film che sta facendo in Australia”) e ha anche svelato che nel corso delle serate verranno celebrate tre canzoni importanti della storia del Festival che quest’anno: Giorgia celebrerà i 40 anni di “E poi”, Eros Ramazzotti i 40 anni di “Terra promessa” e, la sera della finale, Gigliola Cinquetti festeggerà i 60 anni di “Non ho l’età”.
Ma veniamo alle canzoni in gara ricordando che i giudizi sono frutto di un unico ascolto e potrebbero cambiare di molto al momento della gara. L’ordine non è indicativo di alcuni tipo di graduatoria ma è semplicemente quello di ascolto.
Clara, “Diamanti grezzi”
La vincitrice di Sanremo Giovani si presenta con un brano che parla proprio al pubblico giovane. Tra urban e dance, il ritornello ritmicamente spinto fa il suo dovere per farsi notare e ricordare. E con una tale concorrenza sarà un compito tutt’altro che facile.
Diodato, “Ti muovi”
Torna al Festival dopo la vittoria più sfortunata della storia, quella a cui seguì la chiusura del mondo causa pandemia. Riparte da un brano elegante (come è nelle sue corde), con un arrangiamento che farà la gioia dell’orchestra e un bel ritornello aperto. “Fai rumore” è una canzone che arriva una volta nella vita, ma questa è una bella affermazione di qualità.
Mahmood, “Tuta Gold”
Qui non solo è di casa ma quando arriva è abituato a vincere. Lasciate alle spalle i turbamenti di “Brividi”, si affida alla ricetta che ha contribuito a distinguerlo: sonorità urban e con linee orientaleggianti. Una potente ritmica dal sapore tribale sul ritornello contribuisce a dare spessore a un brano il cui testo parla più di altri alla nuova generazione. Da capire se questo può essere un vantaggio o una zavorra.
Sangiovanni, “Finiscimi”
Scordate il Sangiovanni scanzonato di “Lady” e “Farfalle”. Il giovane cantautore, dopo un periodo difficile, si ripresenta con una ballad che racconta la fine della sua storia con Giulia Stabile. I beat sono moderni ma la melodia, soprattutto nel ritornello, si stende in maniera piuttosto classica, lasciando l’idea che forse Sangiovanni sia ancora in cerca di una nuova identità.
Loredana Bertè, “Pazza”
Chitarra distorta, batteria martellante e una melodia lineare ed efficace. Ci vuole questa ragazza di 73 anni per sentire un po’ di rock tra le canzoni in gara quest’anno. “Prima ti dicono basta sei pazza / e poi ti fanno santa” canta lei, che più che come una pazza canta come una sa fare come poche il proprio mestiere.
Bnkr44, “Governo punk”
Diciamo la verità: il punk rimane soprattutto nel titolo e un po’ in certe dichiarazioni nel testo (“Stamattina io mi lavo i denti col gin”), ma dopotutto siamo pur sempre a Sanremo. Leggera e uptempo punta soprattutto a divertire. Una ventina di anni fa avrebbero cantato di essere in una boyband…
Alessandra Amoroso, “Fino a qui”
La presenza di Takagi & Ketra tra gli autori, visto anche il mood generale, avrebbe potuto far pensare a un brano dell’Amoroso nella versione più danzereccia. Errore. Per la sua prima volta a Sanremo invece Alessandra si muove nel terreno della ballad con un ritornello a piena voce. Si trova nella sua comfort zone e si sente, candidandosi di diritto per un posto nei piani alti.
Fred De Palma, “Il cielo non ci vuole”
Il cantante torinese sbarca per la prima volta al Festival e cambia ancora una volta le coordinate della sua musica. Niente rap e anche il reggaeton viene lasciato in panchina per far spazio a un brano da fare andare a tutto volume in macchina con le casse che fanno rimbombare anche gli pneumatici. E’ evidente che parli più al pubblico dello streaming che a quello dell’Ariston.
Fiorella Mannoia, “Mariposa”
Cosa può fare un’artista che si presenta a Sanremo per la sesta volta e che fondamentalmente non ha più nulla da chiedere? Sparigliare le carte e divertirsi. Ecco quindi questo brano suadente e ballabile, che affonda nella tradizione sudamericana. Certo, il testo lungo e senza particolari ganci, in cui descrive la figura della donna in tutte le sue sfaccettature, non è facilmente memorizzabile. Ma a riequilibrare tutto ci pensa un ritornello che recita solo “ahia ia ia ia ia”. Trascinante.
The Kolors, “Un ragazzo una ragazza”
La lezione di “Italo Disco” è fresca e Stash ce l’ha così bene in mente che la recita a occhi chiusi. La partenza sprint che porta dentro il pezzo immediatamente: a fare il resto ci pensano una melodia accattivante, e un ritornello semplice e diretto che esplode dopo un bridge pensato giusto per prendere slancio. Il tutto condito con abbondanza di suoni disco e anni 80. Ha il potenziale per arrivare all’estate e oltre, ma perché guardare solo così in là nel tempo?
Emma, “Apnea”
Da qualche tempo Emma ha trovato una strada da percorrere. Suoni elettronici, ritmica spinta e la sua voce segue strade più leggere, insinuandosi in melodie che rimandano agli 80’s. L’impressione è quella di un’artista che a Sanremo vuole soprattutto certificare una seconda vita artistica nella quale si sente decisamente a proprio agio.
Santi Francesi, “L’amore in bocca”
I vincitori dell’edizione scorsa di “X Factor” (con un passato anche ad “Amici” e come vincitori di Musicultura) si presentano con un brano meno semplice di quanto possa apparire. Caratterizzata da un andamento in crescendo, dall’inizio lento e minimale a un progressivo gonfiarsi di suoni e melodia, è una canzone stratificata dal testo tanto sensuale quanto allegorico. Ha le potenzialità per crescere molto a ogni ascolto. Possibile sorpresa.
Rose Villain, “Click Boom”
Il suo è un curioso mix tra momenti urban, altri classicamente melodici, con un ammiccante ritornello da club. Una pietanza che mescola veramente tanti sapori, probabilmente troppi.
Negramaro, “Ricominciamo tutto”
Non compresi alla loro prima apparizione nel 2005 e buttati fuori la prima sera (con “Mentre tutto scorre”), si ripresentano con lo status ormai di classici e portano un pezzo adeguato. Tra melodia italiana e chitarre alla U2, la canzone però, a dispetto di un bel finale in crescendo, sembra mancare dello slancio decisivo per fare breccia. Da risentire.
Big Mama, “La rabbia non ti basta”
Al primo ascolto capisci in quali territori si muoverà, e questo depone a favore dell’originalità del brano, anche se fortunatamente qualche stop and go interviene a spezzare la linearità della cassa dritta. Se forza della canzone è nel testo di presa di coscienza (“Guarda me / Adesso sono un’altra / La rabbia non ti basta”), il rischio è di lasciarlo in secondo piano rispetto al furore ritmico.
Francesco Renga e Nek, “Pazzo di te”
La coppia corona al Festival un percorso fatto di un tour e di un album insieme. La sintonia tra i due emerge anche in questa canzone dove l’alternanza e l’impasto delle voci è il valore aggiunto. La sensazione è però quella di una canzone che fatichi a staccarsi dal gruppo.
Ghali, “Casa Mia”
L’impressione è quella di un cantante alla ricerca di un posizionamento, a metà del guado tra l’ambiente urban da cui è emerso e scenari più genericamente pop. Questo brano pare spingere per il secondo approdo: ballabile, cantabile, con suoni sintetici ma che non disturbano troppo. Ciò su cui Ghali non ha perso la bussola sono le tematiche sociali che gli stanno a cuore, e che impregnano anche questo testo che parla di emigrazione, speranze di trovare un nuovo mondo (“Siamo tutti zombie col telefono in mano / Sogni che si perdono in mare / Figli di un deserto lontano”).
Irama, “Tu no”
Un inizio a effetto, con un acuto che si fa urlo o viceversa. Una sorta di dichiarazione di intenti per un brano che spesso si spinge al limite del registro vocale. Sorprendente poi, in un Festival dove domina la cassa dritta, la quasi assenza di una base ritmica, affidata ad archi e tastiere. D’atmosfera, ma vibrante. Se riuscirà a dare intensità senza scivolare nell’enfasi potrà dire la sua.
Angelina Mango, “La noia”
Angelina porta al Festival il suo mondo incrociandolo con quello di Madame e Dardust, co-autori di musica e testo. Un incontro affascinante e fecondo: ne esce una cumbia frenetica, con un testo in cui il cambiamento è fuga dalla noia e la sofferenza è spesso il preludio alla gioia (“Muoio perché morire Rende i giorni più umani / Vivo perché soffrire Fa le gioie più grandi”).
Geolier, “I p’me tu p’te”
È il fenomeno dell’urban partenopeo e allo stesso tempo per molti potenzialmente un alieno sul palco dell’Ariston. In realtà si è calato perfettamente nella parte, tanto che la canzone nella struttura e nell’incedere ricorda “Cenere” di Lazza, solo con un testo in napoletano. E viste come sono andate le cose questo in fondo è un augurio.
Maninni, “Spettacolare”
Passato per Sanremo Giovani e per molti oggetto misterioso, Maninni rappresenta quella parte di nuova generazione che non intende rinunciare alla melodia. Si sente che ha studiato sulle linee di Tommaso Paradiso, ma strizza l’occhio anche a chi ha nostalgia di certi anni 90. Difficile possa incidere realmente su questo Festival.
La Sad, “Autodistruttivo”
C’è molta curiosità attorno alla band, vista da molti come l’elemento più “fuori dal coro”. “Autodistruttivo” lo è se non altro nell’essere uno dei pochissimi brani che guarda al rock, anche se più come spirito che come suoni, visto che le chitarre restano sullo sfondo. Meno rivoluzionari di quanto si potrebbe pensare.
Gazzelle, “Tutto qui”
Il taglio cantautorale di Gazzelle, con un tocco di leggerezza pop apre una finestra sul mondo indie con le radici local che emergono chiare (“Vorrei guarda il passato con te / addosso al muro con il proiettore / viverlo insieme un minuto anche tre / scappare per un po’ da Roma Nord”). Un mid tempo da cellulari accesi al concerto.
Annalisa, “Sinceramente”
Il successo ottenuto da “Bellissima” in avanti ha fatto sì che Annalisa, dopo anni di girovagare, trovasse la propria strada sonora. La canzone non deroga da quel percorso, anche se il bridge occhieggia al mondo di Raffaella Carrà mentre le armonie del ritornello introducono un elemento inatteso, che rende tutto meno telefonato. Potrebbe arrivare in alto, sicuramente la sentiremo a lungo dopo il Festival.
Alfa, “Vai!”
La chitarra acustica fa da guida con il suo arpeggio, un fischio introduce una nota di colore, la ritmica è frizzante. Siamo dalle parti di Ed Sheeran in maniera piuttosto palese e si punta più a far battere il piede e muovere il bacino piuttosto che a seguire il testo. Ma funziona.
Il Volo, “Capolavoro”
A presentarsi con una canzone con un titolo così ci vuole personalità o incoscienza. I tre riducono al minimo l’utilizzo della voce con impostazione lirica ma restano nel solco della tradizione. Giocano una sorta di campionato a parte ma in quello hanno pochi rivali. Difficile pensare che rimangano fuori dai primi cinque posti.
Dargen D’Amico, “Onda alta”
Gioca sul sicuro Dargen. Dopo l’exploit di “Dove si balla” torna in quel territorio. Cassa dritta, giochi di parole, ritornello killer che entra in testa in un nanosecondo. Il gioco è un po’ troppo scoperto e non c’è più l’effetto sorpresa, ma come sempre con Dargen il divertimento non è fine a se stesso: e così andando ad ascoltare bene il testo si capirà che i temi toccati sono più seri di quanto si pensi.
Il Tre, “Fragili”
Il palcoscenico dell’Ariston è una vetrina troppo ghiotta, giusto quindi mettere in mostra tutte le armi a propria disposizione: così il rap fa la sua comparsa sotto forma di un flow rapidissimo che fa da intermezzo in un brano dove si spande melodia a piene mani. Da tenere d’occhio.
Mr. Rain, “Due altalene”
L’anno scorso ha sorpreso tutti con “Supereroi” e quest’anno ci riprova. Mr. Rain si ripresenta dunque mostrando il lato più gentile della sua proposta musicale. A questo giro non c’è il coro dei bambini, ci sono in compenso le altalene… basteranno a far breccia?
Ricchi e Poveri, “Ma non tutta la vita”
Tornano al Festival per la tredicesima volta e dopo la celebrazione della reunion del 2020. Uno si aspetterebbe portassero quello che sono sempre stati e invece si confrontano con la contemporaneità, tra suoni elettronici e cassa dritta. Ma così lasciano un dubbio: a chi parlano?