L’artista in gara con la canzone che evoca «icone di stile» «Vivevo in una comune, ora sogno l’Olimpo della musica»
Certo che ha le idee chiare. Achille Lauro è una delle sorprese del Festival di Sanremo prossimo venturo e fa parte di quella nebulosa musicale che è straconosciuta ai giovanissimi ma è (ancora) un mistero per la gran parte del pubblico televisivo: «Ma io gioco per entrare nell’Olimpo della musica».
A molti spettatori non di primo pelo colpirà soprattutto il suo nome: Achille Lauro, come l’armatore napoletano che è anche uno dei padri del populismo all’italiana. «Ma in realtà lui con me non c’entra nulla. Io mi chiamo Lauro di nome (e De Marinis di cognome – ndr), molti confondevano il nome per un cognome e così l’ho scelto come nome d’arte».
Romano, ventottenne, sulla guancia sinistra si è tatuato la scritta Pour l’amour, che è pure il titolo del suo ultimo album, il terzo. Il prossimo uscirà in primavera dopo il suo debutto all’Ariston con un brano che, dicono, farà parlare molto. Intanto il titolo non è proprio sanremese: Rolls Royce. Lui dice che «quell’auto è il massimo dell’icona di stile e nel brano cito molte altre icone. Diciamo che in quel pezzo ci sono tre momenti distinti: il primo è all’inizio, e lo sento molto rock’n’roll, quasi punk. Il secondo è retrospettivo, quasi intimo. Il finale è poi, secondo me, poetico. È stato emozionante provarlo con l’Orchestra di Sanremo. Chissà poi come verrà in tour» In ogni caso, anche se è nato con il rap ed è sbocciato con una miscela di trap e influenze sudamericane come la samba (la chiamano samba trap), è troppo agile per continuare a replicarsi.
E difatti il prossimo disco avrà pur sempre «una comfort zone per chi ama quei suoni, ma andrà oltre. In fondo tra rap e trap cambiano solo i suoni ma i contenuti sono molto simili». Parola d’ordine: cambiare. «Mi chiedono di replicare lo stile che mi ha portato al successo, ma non posso raccontare sempre la stessa storia», dice mentre ne presenta addirittura tre diverse: il brano in gara (che non si è ancora ascoltato), il docufilm No name 1 (che uscirà forse in autunno) e il libro edito da Rizzoli, Sono io Amleto (che non è un atto di vanagloria). «Amo Shakespeare e mi piace il contrasto di una tragedia che diventa successo, ma non è una biografia. Per me è un romanzo motivazionale».
Di motivazioni questo romano del Municipio III ne ha sempre avute molte. A quattordici anni i suoi genitori se ne sono andati per motivi di lavoro. A quindici viveva praticamente in una comune, «una specie di collettivo di pazzi, un ambiente libertino, di hippy, di amanti dei rave. E io un po’ li emulavo». Nei suoi testi, tutti gli annessi e gli sconnessi delle droghe sono stati molti presenti, fin troppo. «Nei primi dischi si racconta la propria vita, poi si va oltre». E lui lo fa anche smarcandosi dalla polemica legata alla tragedia di Corinaldo: «Hanno estrapolato un piccolo passo di una mia intervista nella quale accennavo velocemente al problema dello spray al peperoncino ed è sembrato che minimizzassi. In realtà è un problema con il quale faccio i conti da quattro anni. Quello che dico è che è vergognoso vedere il panico tra i proprio pubblico per un deficiente che spruzza lo spray». E che Lauro De Marinis non sia una compilation di luoghi comuni rap si capisce anche quando spiega che «ormai i social sono un posto dove chiunque spara sentenze senza sapere di che cosa sta parlando». Forse anche per questo Baglioni lo ha voluto nel cast del Festival. A proposito, «credo che le parole di Baglioni sull’immigrazione siano da interpretare con il buon senso». Insomma Achille Lauro fa corsa a sé, o almeno così sembra. «In questo periodo sto ascoltando i classici del passato come i Beatles ma soprattutto Elvis e altri artisti della sua era. Ad esempio sono impazzito per Twist & shout, che non a caso è anche nel primo disco dei Beatles».
Insomma, parole sue, «vorrei essere originale e, per esserlo, bisogna ascoltare i dischi veri. Per questo motivo non voglio scrivere a comando solo per avere il successo. Per capirci, uno scrive d’amore se è innamorato. Altrimenti scrive d’altro». Intanto si prepara per Sanremo: «Nelle serata del venerdì vorrei avere con me sul palco Vasco Rossi oppure Renato Zero, che tanto non verranno… Allora mi piacerebbe un attore che legga una parte del mio testo». Potrebbe essere Claudio Santamaria, ma vedremo. Comunque vada, questo romano pieno di tatuaggi scuri e idee chiare è già pronto a uscire dal coro.
Paolo Giordano, il Giornale