Dopo «Ulisse» di Alberto Angela, la Rai che fa servizio pubblico dimostra che si possono coniugare ascolti e qualità. In sovrapposizione battuta ancora una volta Barbara D’Urso
Dopo Alberto Angela, anche Mara Venier. La Rai che fa servizio pubblico dimostra che si possono coniugare ascolti e qualità, che non necessariamente lo spettatore fugge di fronte a temi difficili. Se sabato sera l’Ulisse di Angela ha ripercorso le strade del Ghetto di Roma rievocando i rastrellamenti del 1943, domenica pomeriggio la Domenica In di Mara Venier ha proposto una lunga intervista a Ilaria Cucchi. Quarantacinque minuti che sono stati sospesi nel tempo — mai un applauso, evento mai successo a memoria di battimani —, un racconto che ha dato spazio al lato umano di Stefano e non solo all’ignobile vicenda carceraria. La storia di una normale famiglia italiana e perbene. La battaglia di una sorella che si vede portare via un fratello in un modo assurdo, mantenendo sempre la lucidità anche nel dolore («Non accuso i carabinieri ma singole persone»).
L’arresto per spaccio
Il risultato emotivo per una volta ha riscontro anche nei numeri. E Domenica In ancora una volta batte Domenica Live: la sovrapposizione tra i due programmi premia infatti Mara Venier e Rai1 con il 18,7% di share contro il 16,1% di Barbara D’Urso e Canale 5. Nel dettaglio Domenica In ha raggiunto 2.813.000 telespettatori (share 19,2%) nella prima parte e 2.274.000 (18.5%) nella seconda: il risultato più alto per il programma da quando è partita la nuova stagione. Nella lunga intervista Ilaria Cucchi ha ripercorso la vita del fratello, «era bello dentro, aveva sempre un sorriso e una battuta. Mi ripeteva, Ila sei felice?». Nell’adolescenza arriva il problema della tossicodipendenza, «io ero la più critica con lui, ero la sua amica ma anche la sua peggior nemica», l’entrata in comunità di recupero, la voglia di tornare a vivere e a lavorare. Poi l’arresto per spaccio e la fine e inizio di tutto, la sua lotta per avere giustizia. «Nove anni sono tanti, ma per noi la verità era già chiara quel 22 ottobre: davanti al corpo di mio fratello mi venne in mente Federico Aldrovandi e chiamai l’avvocato Anselmo. Lui mi disse di scattare le foto all’obitorio, all’autopsia». Quelle foto con il corpo e il volto martoriato, come evoca anche Sulla mia pelle, il film che quel calvario ripercorre, sono state la base per avvicinarsi alla verità.
Vittima del pregiudizio
Perché non è stato curato, le domanda Mara Venier: «Perché era un ultimo, vittima del pregiudizio. Il giudice non ha saputo guardare oltre il pregiudizio: 140 pubblici ufficiali in 6 giorni non hanno visto oltre. Non hanno visto un detenuto come persona». E poi il momento terribile per la famiglia, arrivato dopo i vani tentativi di riuscire a mettersi in contato con Stefano, ricoverato in ospedale: «Abbiamo saputo della sua morte quando è arrivato a casa il decreto di notifica di autopsia. In pratica ai miei genitori è stato detto: guardate che vostro figlio a breve sarà sezionato».
Renato Franco, corriere.it