Da domenica in prima serata le otto puntate della terza serie sugli adolescenti malati
Cosa può spingere platee di adolescenti ad impazzire per una serie tv in cui si racconta di ragazzi malati? Cosa può rendere appassionanti agli occhi d’un quindicenne le vicissitudini ospedaliere di due suoi coetanei in chemioterapia, di una bambina cieca, di un ragazzino cardiopatico e di un altro con una gamba amputata? Il successo di Braccialetti rossi (da domenica su Raiuno al via la terza serie, dopo che le prime hanno raccolto un 24 per cento medio di share, e sono diventate fenomeno di costume) rimane un mistero.
A spiegarlo non basta il successo tradizionale e ultradecennale delle serie ospedaliere in genere; né le spiegazioni pure convincenti – che ne danno il regista Giacomo Campiotti («Parliamo di malattia, ma anche di forza e di vita»), lo sceneggiatore Sandro Petraglia («Al dolore opponiamo solidarietà, amicizia, coraggio») e la direttrice di Raifiction, Tinni Andreatta («È un nuovo modo di fare servizio pubblico»). Resta un problema: come assistere ad una qualsiasi puntata senza tirar fuori continuamente il fazzoletto. E un sospetto: quanto proditori (e quindi irritanti) sono i ricatti sentimentali inferti da queste serie, tali da straziare anche il più duro dei cuori di pietra? «E’ vero: fra i generi toccati da Braccialetti rossi c’è anche quello larmoyant, cioè piagnucoloso ammette Petraglia -. Ma noi bilanciamo i drammi con episodi comici, sentimentali, melodrammatici». «E comunque non facciamo mai ricatto sentimentale protesta il produttore Carlo Degli Esposti -. Se da parte nostra ci fosse solo del cinico calcolo, il pubblico se ne accorgerebbe». «Come dicono i poeti, l’amore esiste anche in guerra aggiunge Petraglia -. E questo è un film di guerra. Oltre al dramma, dentro c’è anche tutto il resto».
Un’altra possibile spiegazione dell’attrazione che questa serie esercita sui teen-agers («L’età media del pubblico giovane di Raiuno con Braccialetti rossi è diminuita di 9 anni», informa la Andreatta) può trovarsi nell’estraneità che tutti i giovani provano verso la morte. Una faccenda che riguarda tutt’al più gli altri; mai loro. «E’ vero: i giovani non hanno paura della morte conferma il capostruttura Nardella -, ma della disperazione che la morte ingenera negli adulti». E certo il forte senso di amicizia e di solidarietà reciproca, che la malattia sempre fa scaturire, attrae quei ragazzi che nella vita normale sentono fortemente la mancanza di vera amicizia fra loro». Un fatto è certo: per ora Braccialetti rossi funziona (anche grazie alla colonna sonora firmata da Niccolò Agliardi, che ha appena pubblicato il suo romanzo d’esordio). E la prova del nove sarà proprio questa terza serie: il format spagnolo da cui deriva si era fermato a due, mentre le nuove otto puntate allargheranno anche ai genitori dei ragazzi malati. Che gli spagnoli abbiano intuito che piangere per un po’ va bene, ma che il troppo stroppia?
Paolo Scotti, il Giornale