Nella puntata di “Chi l’ha visto?”, dedicata a Noemi, la sedicenne uccisa in Salento, è stata trasmessa l’intervista ai genitori del ragazzo sospettato dell’omicidio comunicando loro la morte della ragazza e l’ammissione di colpevolezza del figlio
“Chi l’ha visto?” ha fatto la storia della televisione italiana. Ritrovare persone scomparse, dare speranza, risolvere problemi familiari, incarna la mission autentica del Servizio pubblico radiotelevisivo.
Ma da un po’ di anni “Chi l’ha visto?” (i suoi autori e la sua conduttrice) si lascia prendere la mano, indugia, sguazza, insiste, distorce. E lo fa penetrando negli anfratti più intimi e bui di un’umanità sofferente.
L’ha fatto nel 2010 quando, in diretta, mamma Concetta seppe che il corpo della sua Sarah era stato ritrovato nelle campagne di Avetrana. Lo fa tutti i mercoledì quando spulcia nelle vite in cerca di particolari scabrosi e morbosi. O quando l’inviato riesce a conquistare l’esclusiva svelando quel dettaglio sconosciuto. O ancora quando la presentatrice si compiace della domanda perforante degna del “miglior giornalismo d’assalto”.
E non ultimo ieri sera, mercoledì 14 settembre, quando decide deliberatamente di mandare in onda l’intervista (registrata) ai genitori di Lucio che, dopo aver parlato male di Noemi per diversi minuti scoprono (per bocca della stessa intervistatrice), che la sedicenne salentina scomparsa da due giorni è stata ritrovata (morta ammazzata) e che il loro figliolo ha confessato l’omicidio.
“Chi l’ha visto?” scrive così un’altra pagina della storia della televisione annientando, non soltanto ogni regola deontologica (minori, famiglie, fascia protetta, segreto istruttorio, questi sconosciuti), ma dando un calcio in faccia a chi, suo malgrado, si ritrovava davanti al televisore, in un mercoledì sera qualunque, poco dopo l’orario di cena, magari insieme ai propri figli.
E non c’è diritto di cronaca che tenga di fronte alla tracotanza di una scelta irresponsabile che dimostra come l’informazione possa precipitare in baratri così profondi e irrespirabili.
Poco altro ci sarebbe da dire se non una riflessione (pseudo intellettuale) su quello che la televisione (quella pubblica soprattutto) ha rappresentato per il nostro Paese e che oggi, con questi esempi (sempre più diffusi), rappresenta. In un certo senso narrazioni come quella di ieri sera sanciscono la fine della televisione stessa che, da medium che seleziona, costruisce, indirizza, abbellisce, diventa specchio appannato e marcito di una realtà desolante, la esaspera fino a pomparla e condirla d’ingredienti stuzzicanti e a buon mercato. Come la disperazione di quei genitori di un giovane assassino, che si battono le mani in testa o straparlano accusando altri dell’omicidio.
Giocare ai confronti è sempre irrispettoso e improduttivo ma a volte c’è da chiedersi: “Ma se capitasse a me? Se fosse coinvolta la mia famiglia?”. Ma – si sa – farsi delle domande implica uno sforzo e quindi conviene passare direttamente alle risposte.
Peccato, però, che “Chi l’ha visto?” rimanga (almeno nel titolo) una domanda con cui vorremmo confrontarci come telespettatori che faticano a comprendere una linea editoriale che partorisce e mette in scena contenuti e immagini, come quelle trasmesse ieri, seri.
Massimiliano Padula, presidente Aiart, agensir.it