Il cantautore sarà protagonista di una serata speciale su Rai1. «Combatto l’individualismo di oggi. No ai rapporti virtuali, torniamo a chiacchierare nei bar»
«A Sanremo quando fui ospite da Carlo Conti tremavo come una foglia. Sono rimasto anche io piacevolmente sorpreso da questo stato d’animo: emozione e pathos non devono sparire mai, altrimenti ci limitiamo a essere dei replicanti». Renato Zero ha fatto l’abitudine al palco, ma senza farla diventare una routine. Sabato sarà su Rai1 per Arenà – Renato Zero si racconta, una serata di quasi tre ore, densa di canzoni e ospiti (Emma, Elisa, Renga, Castellitto, Giuffré…): «Si rischia di fare un’operazione in perdita a proporre un concerto nudo e crudo senza dargli una regia e un significato artistico. Questa è una serata come l’ho voluta io, amministrando dei talenti e inserendoli in una tavolozza che si avvicina alla mia esigenza di racconto». Renato Zero poi andrà anche in tour, dove proporrà i suoi grandi successi ma anche brani dall’ultimo disco, «Alt», dove canta l’impegno sociale e la quotidianità.
Cosa non le piace del mondo di oggi?
«La rivoluzione più urgente è quella contro l’individualismo: bisogna spegnere Facebook e cominciare a suonare di nuovo ai citofoni, chiacchierare al bar, avere rapporti fisici veri e non virtuali con le persone. Non mi piace questa solitudine così forzata, pilotata. La accetto se è scelta, desiderata. Non imposta. Ora si alzano anche questi muri fisici — penso a Calais — che sono il segno più drammatico di un ritorno paleolitico al silenzio, al razzismo, alla fuga dal dialogo».
Anche nella musica c’è la dittatura del singolo più che il piacere del disco intero…
«È un vero vizio, la strada giusta non mi pare puntare su una canzone e averne altre 11 che fanno schifo. “La favola mia” era pronta ma rimase fuori per due dischi. Un disco ti resta sul groppone per tutta la vita, se lo fai male avrai per sempre questa spada di Damocle sulla testa: continuerai a chiederti: “e se avessi curato l’arrangiamento e i pezzi diversamente?”».
Il suo disco sul groppone?
«“Artide Antartide” ha pezzi straordinari ma gli arrangiamenti non hanno avuto quella forza e aderenza al contesto letterario e musicale che meritavano. In effetti poi ha avuto molto successo, si vede che o mi sono sbagliato io, o il pubblico è stato generoso».
Come cantante che impegni si fissa?
«Nel mio piccolo cerco di scuotere le coscienze, visto che chi fa la politica si occupa di tutto tranne che delle coscienze, se se ne fossero preoccupati questo Paese sarebbe ancora popolato di tanti Leonardo da Vinci e Puccini. La salute degli altri è anche la mia, perché vivere in un mondo di esclusi non è un bel vivere. Per me avere successo e vendere dischi non comporta una soddisfazione definitiva, se poi la realtà che ci circonda è inquietante o dolorosa».
Oggi la scorciatoia per il successo sono i talent.
«Non li trovo stimolanti, perché io vengo dal Piper, da locali da quattrocento persone dove avevi un contatto costante e quotidiano con la gente, senza filtri, dove contava quello che la pelle trasmette. Oggi le cantine sono state tutte ermeticamente sigillate e il modo di crescere della mia generazione in ambienti fumosi e inospitali è un romanzo di formazione ormai scaduta. Però mi rendo conto che non ci sono più quelle opportunità. I talent show invece danno almeno una palestra e delle telecamere a chi spera di diventare cantante, sono diventati ormai un luogo dove i ragazzi mettono a fuoco le loro personalità, i loro gusti, le loro tendenze».
La cosa di cui va più fiero?
«Ho un cervello che ribolle sempre, non mi mancano idee, slancio, passione, come se avessi degli integratori naturali. I “muscoli” più importanti sono il cuore e il cervello, non la tartaruga sulla pancia».
Mai pentito di qualcosa?
«Il pentimento è uno stato d’animo che non conosco, è una croce. Non bisogna mai arrivare al pentimento, semmai all’indecisione, alla ponderazione. Forse mi ha penalizzato la mancanza di fiducia e stima fino a un certo punto della mia carriera. Poi quando sono arrivati i consensi ho pareggiato i conti: senza quelle ferite probabilmente sarei cresciuto senza anticorpi».
Dia una risposta a una domanda che non le ho fatto.
«Dedico questa serata alla Rai, perché vorrei che capissero che sono anche un autore e un ottimo regista. Nella vita non si sa mai».
Corriere della Sera