Quincy Jones: “Mi sento come Michelangelo”

Quincy Jones: “Mi sento come Michelangelo”

“Mi sento benedetto per aver potuto frequentare tutti i più grandi musicisti del mio tempo. Lo considero un dono divino. Coltivo l’idea di essere un erede di Michelangelo da questo punto di vista”. È un Quincy Jones in ottima forma, che dichiara tutto il suo “amore per la cultura e l‘arte italiana” quello che incontra la stampa all’Hotel Bernini Bristol di Roma, prima di partire per Perugia dove Umbria Jazz gli ha dedicato venerdì la serata inaugurale della 45ma edizione all’Arena Santa Giuliana. Un omaggio che si snoderà attraverso 60 anni delle sue produzioni e dei suoi leggendari arrangiamenti con omaggi e duetti affidati a grandi star, da Patti Austin a Dee Dee Bridgewater, da Ivan Lins a Noa.Il produttore 85enne, che iniziò a suonare la tromba da ragazzo a metà anni ’40 con un pianista non vedente che si chiamava Ray Charles e 40 anni dopo, nel 1982, produsse l’album più venduto di tutti i tempi, ‘Thriller’ di Michael Jackson (110 milioni di copie), continua a considerare fondamentale la sua formazione jazz: “Il jazz per me era e resta libertà. Non ha cambiato significato. Il jazz è libertà di andare dove si vuole con la musica. Il jazz è tante cose, dal be bop all’hip hop. Io ho suonato e prodotto ogni tipo di musica, dalla classica al pop, e anche questo fa parte di un approccio jazz”.Della collaborazione con Michael Jackson (interrottasi dopo il meno felice esito di ‘Bad’, che vendette ‘solo’ 45 milioni di copie) ricorda: “Ricevetti tante critiche quando produssi ‘Thriller’. Ma io ho sempre pensato che si potesse fare qualunque tipo di musica purché buona. Non ho mai scelto pensando al successo o ai soldi ma alle emozioni. Perché se una musica mi sa emozionare ritengo che possa emozionare anche gli altri e quindi funzionare…”, dice.Del grande successo planetario del rap, Jones sottolinea: “Non riguarda gli ultimi 30 anni ma gli ultimi 1000 anni. A Chicago facevano rap dalla notte dei tempi… È un rimasticare cose che esistevano già”, dice, mentre ricorda a un giovane jazzista che il segreto dei grandi è “rimanere connessi alle radici”. “Mi dispiace – aggiunge – che in Usa non abbiamo un ministro della Cultura perché la gente non sa nemmeno che la break dance viene dalle danze degli schiavi e dalla Capoeira…”.Lui che ha lavorato, solo per citarne alcuni, con Dizzy Gillespie, Frank Sinatra, Barbra Streisand, Tony Bennett, Henri Salvador, Charles Aznavour, Jacques Brel, Herbie Hancock, e non ha perso la curiosità e la voglia di produrre buona musica (stravede per la 38enne francese Zaz di cui ha prodotto l’album ‘Paris’, “sembra Etta James”), dice di avere un “forte legame con musica italiana grazie a dei cari amici come Armando Trovajoli, Romano Mussolini e Ennio Morricone” e di apprezzare molto anche la nuova generazione di musicista, come Paolo Fresu, che salirà sul palco ad Umbria Jazz nella serata in suo onore.Accolto in conferenza stampa dal presidente della Fondazione Umbria Jazz Renzo Arbore (“avere uno degli inventori del jazz moderno, il grandissimo Quincy Jones, per il 45mo anniversario è un’emozione incredibile”) l’iconico produttore è stato artefice nella sua carriera anche di diverse operazioni benefiche legate alla musica ma ha legato il suo nome soprattutto a ‘We are the world‘, il brano di Michael Jackson e Lionel Richie a sostegno dell’Africa in cui cantarono 45 tra le maggior popstar planetarie.”Dopo il Live Aid di Bob Geldof in Inghilterra mi pressavano per fare qualcosa di americano. Non fu facile. Ma alla fine raccogliemmo quasi 100 milioni di dollari che servirono a fare cose importanti in Etiopia. Però basta parlare di ‘We are the world‘”, aggiunge ricordando poi due altri progetti charity di cui si fece promotore (il concerto che organizzò a Roma nel 2004 a sostegno di case per la comunità nera del Sudafrica e nel quale coinvolse Carlos Santana, Alicia Keys, Angelina Jolie, Oprah Winfrey, Evander Holyfield, Chris Tucker e altri) e a cui partecipò. Come la campagna ‘Cancella il debito’ di Bono Vox, che gli costò una figuraccia con Giovanni Paolo II: “Ci ricevette a Castel Gandolfo e io presi in giro le sue scarpe rosse parlando con Geldof. Ma il Papa sentì…”.”Fu un incontro importante – aggiunge – Perché la cancellazione di quei debiti permise di mandare a scuola tanti bambini nei paesi più poveri del mondo. Questa è la cosa di cui sono più fiero perché io ho avuto tanti figli e voglio bene a tutti i bambini”, conclude, facendo l’unico riferimento alla sua vita privata di una conferenza stampa iniziata con la raccomandazione di non cadere nel gossip (probabilmente per evitare le domande sulla figlia avuta da Nastassja Kinski nel 1993).

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