Il conduttore ha scritto una commovente lettera a ‘La Repubblica’. Ha ringraziato medici e infermieri del Mauriziano di Torino. Ha spiegato di non aver avuto favoritismi perché personaggio noto. Ha rivelato che il personale sanitario lo ha confortato nel momento più buio
Piero Chiambretti lo scorso marzo è stato ricoverato dopo aver contratto il Coronavirus. Purtroppo sua madre è stata portata via dalla malattia respiratoria e oggi, dopo essere tornato a casa, il conduttore ha voluto scrivere una lettera al quotidiano ‘ La Repubblica’ per ringraziare tutto il personale sanitario dell’Ospedale Mauriziano di Torino ed in particolare i giovanissimi medici e infermieri che non solo gli hanno salvato la pelle, ma che lo hanno confortato nel momento più buio, quello seguito alla scomparsa della mamma Felicita, venuta a mancare a pochi metri da lui.
“Il 16 marzo sono stato ricoverato d’urgenza all’Ospedale Mauriziano di Torino per tre focolai di polmonite a causa del Covid-19. Un giorno che non potrò mai dimenticare. Il pronto soccorso, i suoi rumori, la confusione di medici e malati, le barelle, le mascherine, sensazioni di qualcosa che avevo visto alla televisione, ma che dal vivo erano un’altra cosa. Gli occhi di quelli che arrivavano ad ogni ora, come in un ospedale militare da campo, erano spalancati, terrorizzati, in cerca di qualche segnale di conforto”, ha scritto il 64enne.
Parlando del personale sanitario ha aggiunto: “La cosa che subito mi colpì di questi angeli fu l’età: tutti giovanissimi con una energia che trasmettevano ogni volta che li chiamavi, sempre sorridenti e rassicuranti, anche laddove le condizioni di salute non erano buone. La loro efficienza mischiata alla grande umanità erano una medicina molto più forte delle medicine sperimentali che somministravano”.
“Col passare dei giorni questi esempi di una Italia meravigliosa sono diventati familiari: ci chiamavamo per nome e la sensazione che ho avvertito nitidamente è che spesso si sostituissero ai famigliari che molti non avrebbero visto mai più. Io li ricordo tutti con affetto per come ci hanno seguito, tanto che molti di loro li abbiamo sentiti ancora dopo essere stati dimessi”, ha continuato.
“La mia storia è tristemente nota. In pochi giorni nello stesso reparto ho perso mia mamma, ma anche con lei il personale medico è stato perfetto, hanno tentato di tutto per salvarla, dandomi un sostegno psicologico nelle ore più difficili. Qualcuno, non so dove, ha scritto che ho avuto un trattamento di favore. Nulla di più falso. Dentro quelle stanze eravamo tutti uguali con un obiettivo comune: salvare la pelle. Pensare che ci fossero dei favoritismi è un torto che si fa a persone che oltre a lavorare in condizioni difficili hanno perso la vita per tanti di noi”, ha fatto sapere.
Piero pensa che oltre alla professionalità dei medici, nella sua guarigione ci sia anche lo zampino proprio di mamma Felicita: “La mattina successiva la morte di mia mamma, io miracolosamente ho cominciato a stare bene (grazie Felicita), tanto da essere dimesso dopo una settimana e due tamponi negativi. Era un lunedì pomeriggio, quando impreparato a lasciare l’ospedale sono tornato a casa in taxi in pigiama, considerato che portato via d’urgenza quindici giorni prima a sirene spiegate, non avevo neppure una borsa”.
“Leggo che 160 tra medici, infermieri e personale sanitario, hanno perso la vita per salvare quelle altrui che in molti casi neanche conoscevano, mi si stringe il cuore e penso come il nostro Paese ha in queste persone degli esempi da cui imparare tanto”, ha quindi concluso.
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