Black Panther: la Marvel affonda gli artigli con un film coraggioso e di grande intrattenimento

Black Panther: la Marvel affonda gli artigli con un film coraggioso e di grande intrattenimento

Nel film della Marvel tradizione e modernità vanno di pari passo e Ryan Coogler realizza un nuovo capitolo del suo cinema dalla forte valenza sociale, unendo però la spettacolarità tipica da blockbuster, echi di epica fantasy e drammi shakesperiani. Che piacciano o meno i cinecomics della Marvel, non si può non rimanere impressionati davanti all’universo che, in soli dieci anni, sono riusciti a costruire. Da quell’Iron Man del 2008 non è trascorso solo un decennio, ma ci sono stati nel frattempo diciassette film e numerose serie televisive che, attraverso tre fasi, hanno formato il Marvel Cinematic Universe. Dieci anni in cui si è spesso ragionato sulla stanchezza di quello che ormai non è solo la più importante e redditizia saga cinematografica di sempre, ma quasi un sottogenere cinematografico a sé stante. Perché è vero che ultimamente la Marvel sembrava essersi un po’ adagiata su stile e temi spesso molto simili e un po’ ripetitivi, ma è anche vero che in più di un’occasione hanno dimostrato di tirare fuori, magari proprio quando gli spettatori meno se lo aspettano, qualcosa di molto differente e ben più coraggioso. È il caso di questo Black Panther, film solista dedicato ad un personaggio minore dell’universo fumettistico e personaggio già introdotto, questa sì una bella novità per l’MCU, in un film precedente, l’ottimo Civil War. Ma se il film dei fratelli Russo proseguiva la trilogia di Captain America e in qualche modo rappresentava una continuazione per tutto il progetto Avengers, il film di Ryan Coogler è un qualcosa di completamente diverso e, se vogliamo, anche nuovo. Perché è innanzitutto un film fortemente radicato nella cultura e nella cinematografia black. E non solo per la massiccia presenza di quasi tutti i migliori interpreti di colore degli ultimi decenni, ma perché al timone c’è il Ryan Coogler di Prossima fermata: Fruitvale Station e Creed – Nato per combattere. Il Re Pantera. Che sia davvero un film di questo giovane ma talentuosissimo regista lo si capisce subito, fin dalla sequenza iniziale che arriva ancora prima del logo Marvel. Non a caso ambientata ad Oakland, California, città natale di Coogler, e che fin da subito lascia intuire il principale contrasto che caratterizzerà l’intero film, quello tra modernità e tradizione. Tra la vecchia Africa, cuore dell’umanità e in particolare della popolazione nera, e la cultura, e quindi il cinema, di oggi. Con in più una buona dose di tecnologia futuristica e spettacolare. Un mix di toni e temi che funge da vero e proprio cortocircuito grazie alla sceneggiatura coraggiosa e ricchissima di suggestioni dello stesso Coogler, che realizza così un nuovo capitolo del suo cinema dalla forte valenza sociale, unendo però la spettacolarità tipica da blockbuster, echi di epica fantasy e drammi shakesperiani. C’è veramente tanto in questo film, così tanto che nonostante le due ore e quindici di durata alla fine del film quasi dispiace che certi temi, come quello della “rivoluzione nera”, non siano stati maggiormente approfonditi o di come per una volta avremmo davvero voluto che il cattivo (interpretato dall’ottimo Michael B. Jordan, pupillo del regista) avesse più spazio e più tempo per raccontare le sue motivazioni e la sua storia. Ma d’altronde Black Panther è un film che avanza sapientemente tra topoi narrativi ben noti e già declinati in tutte la salse (l’ambientazione africana poi non può non far pensare al Re leone di disneyana memoria), ma inserisce azione e ironia con grande sapienza.  Il film, come ovvio, è prima di tutto un grande esempio di ottimo intrattenimento: inseguimenti entusiasmanti, duelli selvaggi e adrenalinici e perfino una grande battaglia finale tra (piccoli) eserciti. Coogler ci mette del suo non solo con l’inserimento di tematiche tutt’altro che banali, ma anche con una regia dinamica e moderna, ricca di virtuosismi – il piano sequenza nel casinò non è al livello di quello sensazionale di Creed, ma fa comunque la sua figura – che strizza l’occhio a più generi e più modelli. Difficile immaginare prima d’ora una pellicola che potesse unire supereroi, rituali africani, tecnologie alla James Bond e colonna sonora rap, eppure questo folle e coraggioso mix non solo funziona, ma è perfettamente coerente con la storia che sta raccontando. Se a tutto questo aggiungiamo attori di primissimo livello e dalla bellezza statuaria (uomini e donne rimarranno più volte giustamente incantati a guardare sia il protagonista Chadwick Boseman che Lupita Nyong’o) e personaggi carismatici e ben caratterizzati (la combattiva e tostissima Okoye di Danai Gurira su tutti), è evidente che questo coraggioso esperimento è perfettamente riuscito. E se è vero che come spesso accade gli elogi d’oltreoceano sono forse fin troppo esagerati, va anche tenuta in considerazione l’importanza che un film del genere può rappresentare in una Hollywood che finora aveva relegato il cinema black in produzioni di scala decisamente minore. Ma se Wonder Woman aveva dalla sua soprattutto l’elemento novità legato al sesso della sua protagonista e della sua regista ma rimaneva comunque un film dalla struttura e dall’impostazione molto tradizionale, nel caso di Black Panther tradizione e modernità vanno davvero di pari passo. Considerato che parliamo del diciottesimo capitolo di una lunghissima saga che per molti era già stanca e priva di idee, non ci pare affatto poco.

 

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