Stefania Rocca e il suo look androgino, le continue metamorfosi…«Mi scambiavano per nordica: sei tedesca o scandinava? Minghella per “Il talento di Mr Ripley” mi disse, sto cercando un’italiana ma tu non lo sembri per niente. Mi sono messa una parrucca e ho recitato». Arrivata a sfiorare i 50 anni, magnificamente portati, si limita quando le gira a cambiare colore dei capelli. Lunedì 14 e il 21 su Sky Cinema è in Cops-Una banda di poliziotti, due puntate e già si lavora al secondo capitolo. «Luca Miniero ha unito comedy e crime, per l’Italia è un un bell’esperimento», dice Stefania, nei panni del commissario integerrimo mandato dal ministero in Puglia per indagare su un paesino in cui da vent’anni non viene commesso un reato.
L’attrice, dai colleghi cialtroni, un manipolo di imbranati, Claudio Bisio, Pietro Sermonti, Francesco Mandelli, Giulia Bevilacqua, viene chiamata scopa in c…Sorride: «Mi divertiva anche, c’era una forma di fierezza nell’essere definita così da quei poliziotti dementi. Io nel film sono rigida, algida ma con delle fragilità, e ho più difetti degli altri».
Ma da ragazza le avevano dato qualche soprannome?
«Sì, Rock, perché ero un po’ punk, o Sottiletta, per la magrezza».
La comicità surreale di «Cops» le piace?
«La adoro, qui poi tra commedia e azione ribaltiamo in modo originale i cliché di due generi. In uno dei miei primi film, L’amica di Wang, sono una pazza sclerata che vuole fare l’attrice a tutti i costi…La comicità surreale è un genere più americano, in Italia è difficile sdoganarlo. Ma è una pigrizia dell’ambiente, il pubblico si adatterebbe. E poi ridere fa bene in questo periodo».
Lei è una torinese atipica.
«Adoro l’eleganza di Torino. La nebbia non mi immalinconiva, mia madre diceva che aiuta a guardarci dentro. Andai via per incoscienza e ribellione, a Milano, dove poi sarei tornata, ho fatto la barista, il volantinaggio per strada, il pony express. Sono cresciuta con due sorelle e sette cugine odiando le bambole, il rosa e i cliché femminili. Ho due figli maschi e abbiamo un baby sitter uomo che ha fatto bene a tutta la famiglia. Non è mai una questione di sesso».
La virologa Ilaria Capua vorrebbe usare teatri e cinema chiusi come ambulatori per i vaccini. Cosa ne pensa?
«Mi ha fatto arrabbiare, come tante altre cose. Questa ignoranza la pagheremo cara, in termini di degrado. La cultura dovrebbe essere la forma più alta di formazione e educazione. Siamo gli infetti, o i superflui nel caso migliore. I teatri sono visti come luoghi pericolosi. Nel protocollo di sicurezza non c’è nemmeno un attore, ma siamo noi che andiamo sul set…Doveva uscire un film, bloccato dal virus, Dietro la notte di Daniele Falleri, in cui vengo rinchiusa dentro una cabina-armadio con mia figlia da un rapinatore, che rappresenta la paura e l’angoscia di questo periodo».
Lei fa parte di «Unita».
«Sono tra i 110 soci fondatori di questa associazione, vogliamo difendere gli attori meno noti e privilegiati. L’abbiamo detto al ministro Franceschini, non veniamo nemmeno considerati lavoratori indipendenti, non abbiamo la pensione, chi riesce a lavorare 180 giorni di fila?».
Come sta vivendo la seconda ondata del virus?
«Con grande senso civico. Ho uno spirito che non riesco a star ferma. Ho scritto un monologo teatrale e la sceneggiatura dal libro L’ora di tutti di Maria Corti e sarà il mio debutto come regista. Un gruppo di persone, durante la presa dei turchi di Otranto del 1400, che raccontano come vivono il momento del trapasso: Ma il film non sarà così drammatico come sembra».
E come attrice?
«Il mio sogno è di recitare una psicopatica. Sono contenta d’aver impersonato Krizia (a primavera su Canale 5), donna determinata, severa, ironica. Mi hanno aiutato mia sorella Silvia, che sfilava per lei, Carolina Rosi, che era sua nipote, e mia madre che faceva la modellista. Se avrei voluto vivere la Milano degli anni ’70 che sono sullo sfondo? No, quella violenza, quegli ideali a volte per niente positivi…mi piace raccontarli da attrice».
I suoi figli la reclamano. Com’è vivere con tre maschi?
«Bella domanda, ora devo aprire la gabbia! Grazie a Dio sono un maschiaccio anch’io, mi tocca mantenere le regole e certe volte sono davvero il poliziotto cattivo di Cops».
Valerio Cappelli, Corriere.it