New York, esterno notte. L’occhio della telecamera inquadra i grattacieli di Hell’s Kitchen, ammassati sulle rive del fiume Hudson. Una scena vista in centinaia di film ambientati a Manhattan, certo. Solo che questa volta ogni singola luce proveniente da ogni singola finestra sembra così vivida e tridimensionale da poter quasi bucare lo schermo. Non si tratta però di realtà virtuale oppure occhiali 3D, bensì della magia dell’HDR. Che non è solo l’ennesima sigla dell’universo televisivo, ma una novità destinata a cambiare, sia per chi sta dietro la cinepresa che per noi spettatori, il modo di concepire film e serie tv.
HDR infatti sta per High Dynamic Range, che in italiano potremmo tradurre come “elevata gamma dinamica”. In sostanza questa nuova tecnologia è in grado, nei televisori compatibili, di restituire immagini nelle quali colori, luci e ombre sono così intensi e fedeli alla realtà da lasciare letteralmente a bocca aperta. Ma come già succede per la risoluzione 4K, l’HDR da solo non è in grado di dare nuova linfa a una vecchia serie tv: per godere al meglio di questa novità infatti non basta il solo televisore, ma servono contenuti video realizzati con l’obiettivo di sfruttarne tutte le potenzialità.
La più veloce a fiutare il potere dell’HDR, inutile dirlo, è stata proprio Netflix: Iron Fist, la prossima serie tv a tema supereroi Marvel, in arrivo nel 2017, sarà infatti la prima a essere realizzata con questa tecnologia in mente. «Imparare a lavorare con l’HDR è stato un processo lungo e faticoso – racconta il direttore della fotografia Manuel Billeter –, anche se i risultati finali valgono ogni singolo sforzo. Per me questo strumento non solo garantisce una gamma di colori più ampia, ma è anche dotato di grandi potenzialità narrative: mentre giravamo Iron Fist con l’HDR siamo riusciti a trasformare la stessa New York, con i suoi vicoli bui sormontati da migliaia di luci, in un vero e proprio personaggio dello show».
Anche perché, come per la realtà virtuale, la magia dell’High Dynamic Range è difficile, se non impossibile, da spiegare a parole. L’unico modo per rendersene conto è visualizzare la stessa identica scena su un televisore classico e uno di nuova generazione: in uno degli episodi di Daredevil, altra serie realizzata da Netflix e Marvel e attualmente in fase di “rimasterizzazione” per l’HDR, quelli che su un normale schermo Full HD sembravano piccoli pezzi di vetro si trasformano all’improvviso in una manciata di diamanti luminosi.
Ma non è tutto oro quel che luccica, visto che questa tecnologia nasconde anche qualche insidia di troppo: «Mentre lavoravamo al remaster di Daredevil, in una certa scena il filtro dell’HDR aveva reso talmente luminoso uno dei personaggi secondari che alcuni spettatori finivano per focalizzarsi su di lui anziché sul protagonista – racconta Tony D’Amore, mago dei colori con sedici anni di esperienza a Hollywood e deus ex machina del progetto HDR di Netflix –. L’effetto sulle luci è così strabiliante che è come entrare in mondo virtuale senza indossare alcun visore. Ma dobbiamo stare sempre attenti ad utilizzarlo con parsimonia, controllandone la forza inquadratura per inquadratura, fotogramma per fotogramma».
E se non mancano le sfide in fase di produzione, Netflix deve affrontarne un bel po’ anche in fase di distribuzione: come far arrivare la miglior immagine possibile, con tanto di HDR, sugli schermi di mezzo mondo? La risposta sta tutta nei server. «Le nostre macchine riescono a inviare i contenuti a decine di migliaia di utenti, simultaneamente – sottolinea Neil Hunt, chief product officer del colosso di Los Gatos –. Ne abbiamo installati centinaia e centinaia in diverse parti del mondo, potenziati da un nostro software in grado di ottimizzare la trasmissione dei dati, pre-caricando le serie tv e i film più richiesti nelle ore di minor traffico internet, così sono sempre pronti per la visione in pochissimi istanti».
Ogni video è infatti disponibile in 15 “gradazioni” di qualità, tutti contenuti all’interno dello stesso flusso, e il sistema di Netflix è in grado di gestire l’utilizzo della banda in modo da garantire sempre la migliore fedeltà visiva possibile. «Il bello è che, a conti fatti, l’HDR non richiede poi così tanta velocità di connessione in più: trattandosi soprattutto di metadati, presto riusciremo a trasmettere contenuti in Full HD e HDR con una ADSL da 10 megabit al secondo». Un dato che regala un po’ di speranza anche a noi italiani, visto che la nostra media di velocità di connessione si attesta attorno agli 8 megabit. Anche perché l’HDR, parola di Netflix, non una semplice moda passeggera. Ma un nuovo paradigma destinato a cambiare la televisione.
Dario Marchetti, il Secolo XIX