Al Festival canadese la star di «Trainspotting» porta il primo film dietro la cinepresa: «American Pastoral», dal romanzo di Roth. Ora è sul set per «Trainspotting 2»
Arrivato a 45 anni, Ewan McGregor, il ragazzo che in Trainspotting (1996, dal libro di Irvine Welsh) faceva i conti con la droga, ha realizzato il suo sogno: diventare regista e portare sullo schermo uno dei più complessi e da lui più amati romanzi di Philip Roth, Pastorale americana. Dopo la proiezione in prima mondiale al Festival di Toronto, l’attore, anche protagonista del suo esordio registico, dice: «Ho sempre coniugato il cinema e il teatro con la mia passione per i libri. Non ho avuto timore di avvicinarmi, in quanto scozzese, a un romanzo molto americano nei contenuti, ma che per me è universale nel disegno sociale e psicologico del “sogno americano” e delle le sue fratture». Acquistato dalla Eagle, il film si vedrà in Italia a ottobre.
Figlio di due insegnanti, cresciuto tra i libri, Ewan, da ultimo attivo in televisione per la terza stagione di «Fargo», deve la sua massima popolarità a decine di film (basta ricordare Moulin Rouge), ma in particolare al ruolo del giovane Obi-Wan Kenobi in tre titolo della saga di Guerre Stellari. E a Trainspotting, diretto allora da Danny Boyle e adattato per lo schermo da John Hodge, «scozzese come me»: di cui, ora, Ewan McGregor conferma «sto girando il seguito. Si intitolerà T2», e il regista, è confermato, sarà nuovamente Boyle.
Ma è Pastorale americana, oggi, a collezionare a Toronto critiche positive e partecipazione entusiasta del pubblico, molto coinvolto dall’odissea famigliare e sociale del protagonista: ebreo, nato nella upper class, detto «lo svedese» perché biondo e atletico, sposa— incarnazione massima del sogno americano — la bella e distante Miss New Jersey (Jennifer Connelly). «Ho fatto mia quest’opera di Roth per tante ragioni: soprattutto perché pone, ieri come oggi (la prima edizione è del 1997), una critica al sistema capitalistico e guarda nell’anima, nei sogni, nelle solitudini di tutti i protagonisti». La coppia McGregor-Connelly mette al mondo una figlia, Merry, inquieta e balbuziente (Dakota Fanning, che ha avuto recensioni entusiastiche), che porta «la guerra in casa» sul traliccio di un dramma di conflitti generazionali e culturali. «Merry, questa ragazza che nella sua personalità assomma le contraddizioni di un’America dalle tante facce, diventerà una terrorista: marcerà contro la guerra in Vietnam, si renderà introvabile dalla la famiglia, e sconvolgerà ogni fragile certezza e conquista del padre».
Sino a un finale che, nelle tante proiezioni affollatissime del film, riempie di angoscia e dolore la platea. Racconta McGregor, collegando la sua vita densa di impegni al privato e ai suoi viaggi avventurosi, dalla Mongolia all’Alaska: «Sono sposato da anni con Eva,una scenografa francese. Abbiamo quattro figlie. Non faccio alcuna differenza tra quelle adottate e quelle nate dal mio matrimonio, viaggiamo come avventurieri, discutiamo di ogni cosa. La nostra primogenita si è iscritta alla New York University, sono eccitato per l’ingresso nella vita di impegni e studi delle mie ragazze, che mi prendono in giro per la mia collezione vintage di motociclette, ma poi, come mia moglie, ci fanno un giro volentieri. Ho portato nella mia regia anche tutte queste esperienze: di vita privata, di sentimenti, gioie e dolori. Pastorale americana riflette ogni contraddizione e slancio di chi si reputa progressista e civile, ma si scontra con la realtà».
Affronta il problema dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea: «Viviamo in un’epoca che chiede unioni contro ogni separatismo, discriminazione. Con una pericolosa forma di snobismo “etoniano” — l’esclusivo college di Eton resta un simbolo tipico di elitarismo e distacco dalla gente comune, ndr — Brexit ha messo tutti noi con le spalle al muro». Osserva: «C’è per me un filo rosso e forte fra Trainspotting e questo film. Entrambi disegnano l’affresco emblematico di più generazioni, che perdono gli ideali, ma che, nel confronto tra passato e presente, stimolano poi tanti a ricercarne le radici».
Corriere della Sera