Antiche tradizioni giapponesi, meditazione e filosofia esistenziale, disciplina del corpo e della mente, ritmi frenetici su tamburi e percussioni di assoluto fascino. Nel cuore delle Marche, in provincia di Pesaro e Urbino, precisamente a Colbordolo, una cittadina di 294 abitanti, vive il Trio dei Munedaiko. Composto da tre fratelli di origine giapponese – Mugen, Naomitsu e Tokinari Yahiro. Sono illustri depositari dell’arte del Taiko giapponese, tra gli otto figli di una famiglia di artisti, maestri e intellettuali nipponici che hanno scelto il nostro Paese per vivere e lavorare. In scena a torso nudo, questi giovani interpreti dominano gli strumenti alternando silenzi a ritmi incalzanti e pirotecnici, creando deliri musicali contagiosi.
“La passione per il Taiko è nata grazie a un maestro giapponese che ho incontrato in Italia – racconta Tokinari Yahiro all’Adnkronos – Un processo interiore di consapevolezza e amore che è cresciuto e si è sviluppato nel corso degli anni. Quello che mi interessava realmente era il significato profondo di una disciplina che si esprime nella sua totalità, non solo musicale, ma anche fisica e mentale”. Un allenamento che coinvolge tutto il corpo attraverso la corsa e esercizi a corpo libero, un’estetica che sprigiona energia e vitalità. Un corpo eroico ed erotico quello del Trio dei Munedaiko, che Tokinari smentisce in modo deciso. “La nostra fisicità? – risponde – Nulla di erotico, abbiamo imparato a saper dosare le energie del corpo, anche se spesso occorre più elasticità che reale impeto fisico per ‘suonare’ i nostri strumenti. Vogliamo mettere in mostra di fronte al pubblico l’espressione dei movimenti – continua Tokinari – nella massima tensione dei corpi, spesso nell’assoluta concentrazione”.
Sul tema dell’allenamento quotidiano, interviene Mugen Yahiro: “È importante saper bilanciare momenti di tensione e di rilassamento, arrivare anche allo sforzo fisico estremo per poter educare la mente, potenziare la nostra sensibilità rivolta a valori universali che non dividono le culture, semmai accrescono i rapporti e il confronto”. Una musicalità esuberante, contagiosa e quasi ipnotica la loro. “Lavoriamo su brani tradizionali accanto a composizioni arrangiate o scritte da noi – spiega Naomitsu Yahiro – Naturalmente in ogni spettacolo c’è sempre una parte significativa di improvvisazione, ma tutto è condiviso tra di noi. Parliamo, discutiamo, ci confrontiamo, viviamo nell’assoluto rispetto reciproco anche se all’interno dello spettacolo ci concediamo dei ‘monologhi’. A volte le nostre voci urlate, spezzate e gutturali servono più a dare il ritmo alla messa in scena e infondere quella vitalità di cui la nostra musica ha bisogno”.
Anticamente i tamburi erano utilizzati in guerra, come ‘grido’ per incitare i soldati, impartire ordini, incoraggiare e spaventare, ma anche per celebrare il raccolto e creare momenti di comunità tra le persone, utilizzandoli come strumento per dialogare con la divinità. Oggi, questa antica arte e cultura giapponese si trasforma in una spettacolarità contemporanea. Ha già conquistato il teatro con le ‘Metamorfosi’ di Ovidio messe in scena da Nina Pons sotto la regia di Andrea Baracco (debutto al Franco Parenti di Milano e il 26 agosto in scena a Siena) e la danza con una nuova produzione, in fase di definizione, nata in collaborazione con il regista e coreografo siciliano Roberto Zappalà, che debutterà la prossima primavera a Catania.