Voleva vivere intensamente prima di scrivere il nuovo album. S’è ritrovata da sola in casa a «cercare la bellezza dove non te l’aspetti» e a comporre ‘Things Take Time, Take Time’ con una drum machine
All’inizio del 2020 Courtney Barnett immaginava d’avere davanti a sé un anno da dedicare alla scrittura di nuove canzoni. A una condizione, però: «Vivere e fare esperienze, perché è da lì che nascono le canzoni, non basta chiudersi in una stanza e scrivere un disco per il gusto di farlo».
Barnett ride ripensando a quel proposito. «Molto ironica questa cosa, sì», dice la cantautrice australiana, 33 anni, al telefono dalla sua abitazione a Melbourne. «Che mi piaccia o meno, è successo quel che è successo. E io ho passato il mio anno più tranquillo di sempre».
L’album è che ha scritto chiusa in una stanza s’intitola Things Take Time, Take Time e uscirà il 12 novembre per Mom + Pop Music e Marathon Artists. Piacerà a chi apprezza la scrittura di Barnett, è pieno del tipo di osservazioni acute sugli alti e bassi della vita che l’hanno resa una delle cantautrici indie più amate degli ultimi anni. E c’è pure qualche sorpresa. Le canzoni brillano di luce nuova spogliate come sono del sound da rock band dei primi due dischi di Barnett. Somigliano a una registrazione casalinga, onesta in modo radicale. È forse il disco più personale di una cantautrice che ha sempre scritto canzoni personali.
Lei descrive l’album in termini di «ricerca di gioia e gratitudine, per lasciarsi alle spalle dolore e tristezza». Un nuovo inizio, un mattino dopo una notte scura. L’esempio perfetto è una canzone che s’intitola Write a List of Things to Look Forward To.
Il processo di scrittura è iniziato poco dopo la pubblicazione nella primavera del 2018 del secondo album Tell Me How You Really Feel. Di gran parte di quelle canzoni non è rimasto granché. Una delle poche è proprio Write a List of Things to Look Forward To che è stata scritta alla fine del 2019, quando la cantautrice era giù per vari motivi, tra cui gli incendi devastanti che stavano devastando l’Australia.
«Ero davvero giù e gli amici non sapendo come aiutarmi mi hanno detto: perché non scrivi una lista delle cose positive che ti aspetti dalla vita? E io pensavo: non ci sono cose positive che mi aspetto».
Alla fine Barnett l’ha fatto e se n’è uscita con una lista buona per «tipo 25 versi», poi ridotti ai due minuti e qualcosa del pezzo che appare su Things Take Time, Take Time. “Siediti qui, guarda il mondo che brucia”, recita il testo. «Il bello è che la musica è divertente», dice Barnett. «È un pezzo perfetto che scorrazzare in auto in una bella giornata di sole. Adoro i contrasti».
All’inizio del 2020 ha tenuto un paio di concerti di beneficienza per le vittime degli incendi, per poi volare negli Stati Uniti per un breve tour che si è chiuso a Los Angeles il giorno di San Valentino. Una volta tornata a Melbourne, il Covid l’ha costretta come tutti all’isolamento. Non avendo un posto dove stare, è finita nell’appartamento vuoto di un amico. «Ci sono rimasta un anno intero. Era un appartamento piccolo, ma favoloso, con grandi vetrate e tanta luce. Sono stata fortunata».
Durante il lockdown Barnett ha imparato a cucinare, si è abbonata a Criterion Channel, ha visto film di Agnes Varda e Andrei Tarkovsky, si è dedicata a libri che intendeva leggere da tempo, ha dipinto acquerelli. E ha passato un sacco di tempo vicino alla finestra a sorseggiare caffè e suonare la chitarra acustica.
Uno dei pezzi più dolci dell’album nuovo, Turning Green, è il frutto di queste esperienze. Il testo parla di nuove speranze dopo una brutta stagione (“Gli alberi si colorano di verde e questa letargia primaverile ti obbliga a notare i fiori tra le erbacce”). «Fuori dalla finestra c’era questo grande albero: guardandolo ho osservato l’alternanza delle stagioni», spiega Barnett. «Ma è pure metaforico. È un pezzo gioioso. Si capisce che i protagonisti hanno subito una trasformazione da cui sono usciti cambiati».
Barnett ha cominciato a scrivere il primo singolo tratto dall’album Rae Street come un esercizio sui ricordi. «Un giorno mi sono messa lì a fare l’elenco delle frasi che mi dicevano i miei», spiega la cantautrice. L’adagio enigmatico del ritornello – “Il tempo è denaro e il denaro non è amico dell’uomo” – è un’espressione del padre e che la cantautrice ha riadattato a questi tempi di riflessione forzata.
Una volta pronta a registrare le versioni demo, Barnett ha preso in mano una vecchia drum machine Roland CR-8000 che aveva portato a casa dopo essere stata nel soft pieno di strumenti dei Wilco a Chicago. «È analogica e non molto maneggevole», dice Barnett, che si definisce «dipendente dalle piccole drum machine».
Ha avuto finalmente il tempo di studiarla e capire bene come usarla («Prima sceglievo un beat e stop»). Ha chiamato l’amica Stella Mozgawa, batterista dei Warpaint che aveva suonato in Lotta Sea Lice, il disco di duetti di Barnett con Kurt Vile, e che le ha impartito una lezione. Le due hanno cominciato scambiarsi playlist di artisti che hanno fatto un uso innovativo dei ritmi programmati, da Arthur Russell agli Yo La Tengo. «È stato divertente ed eccitante. Il passo regolare delle drum machine ha un potere calmante su di me, mi fa sentire al sicuro». Una volta capito che Mozgawa sarebbe stata la partner creativa perfetta, Barnett l’ha invitata a co-produrre il disco.
Le due si sono incontrate a dicembre 2020 ai Golden Retriever Studios di Sydney per dare il via alle registrazioni. Di solito, in questa fase dei lavori Barnett mette da parte la drum machine e chiama i musicisti della sua band live. «Ero convinta che servisse solo per le demo e che una volta in studio avrei avuto un vero batterista e un suono autentico», spiega. «Ero irremovibile».
Questa volta, però, ha scelto di preservare l’atmosfera magica e meditativa delle demo. Molte delle canzoni del disco hanno perciò beat lo-fi programmati da Mozgawa e varie drum machine, oltre a una vera batteria suonata dalla produttrice, la voce e le chitarre di Barnett, il basso di entrambe e altro ancora. «Praticamente suoniamo tutto noi due», dice Barnett. «Ma il risultato è brillante, è come se fosse stato registrato da più musicisti contemporaneamente».
C’è voluto del tempo prima che Turning Green trovasse la sua forma definitiva, un ritmo secco motorik di solo basso e drum machine che dopo due minuti fiorisce in un assolo di chitarra. «Quando l’ho scritta mi sono innamorata subito della melodia, ma in studio con Stella non suonava bene, sembrava la solita canzone delle mie», dice Barnett. «Così Stella ha detto: “Perché non la mettiamo sottosopra?”. Adoro il risultato. L’arrangiamento scarno permette al testo di risaltare in modo vivido, senza addolcire nulla».
Varie canzoni hanno avuto genesi particolari. Here’s the Thing, una ballata splendida nonché uno dei pezzi chiave del disco (“Non ho paura dell’altezza, ma solo di cadere”), è nata mentre Barnett suonava la chitarra guardando la tv. Ha registrato la voce più avanti, durante un viaggio nel New South Wales settentrionale. «Stavamo vicino a una montagna gigantesca, un paesaggio splendido. C’è qualcosa di speciale in quella take di voce».
Ora Barnett terrà i primi concerti dall’inizio del 2020. Inizierà da sola in Nuova Zelanda, poi partirà per gli Stati Uniti con la band. Non vede l’ora di iniziare e scoprire come le canzoni cambieranno forma sul palco. «Già so che col passare degli anni, suonandoli col gruppo, i pezzi assumeranno nuove forme, suoneranno in modo nuovo. Succede sempre così».
Nel frattempo, c’è un nuovo album che non vede l’ora di condividere col mondo. «Da un lato l’anno scorso non mi è successo granché, dall’altro è successo di tutto. C’è un verso, in Turning Green, che parla di fiori nelle erbacce, di come si può trovare la bellezza nei posti più inaspettati. È una lezione che non finirò mai di imparare».
Rollingstone.it