«Mia moglie Alessandra Appiano, 25 anni di convivenza, 15 di matrimonio civile, è soggiaciuta al raptus di un disturbo manifestatosi in modo oscuro e quasi metafisico, un maleficio che non le ha lasciato scampo nonostante i diversi tentativi di cura». Così, in una lettera aperta pubblicata su Il Fatto Quotidiano, il marito Nanni Delbecchi ricorda la malattia e la scomparsa della scrittrice 59enne, vincitrice del premio Bancarella e autrice e conduttrice di diverse trasmissione televisive. Tra le ipotesi degli inquirenti c’è anche quella di un «gesto volontario», che ha scatenato molti commenti sui social. E’ proprio per rispondere a queste «idiozie o cattiverie» che Delbecchi ha deciso di scrivere questa lettera.
Il carattere
«La verità è che Alessandra era una sorgente infaticabile di luce e di energia non solo per me, ma anche per i nostri tanti amici – ricorda – È stata la donna più attenta alla propria salute che abbia mai conosciuto – fin troppo, faticavo a farle bere un bicchiere – dedita alla propria cura e al proprio aspetto». Certo, «aveva le sue tristezze e le sue malinconie, accentuate da una natura cui si alternavano spleen ed euforia. Era un’artista vera, duplice anche nel suo lavoro, capace di tormentarsi per tre mesi sul «non ho più niente da dire» e poi di buttar giù di getto un romanzo nei tre mesi successivi. Sentiva come pochi l’ineluttabile trascorrere del tempo e aveva i suoi momenti di crisi; ma quale persona intelligente e sensibile non ne ha?».
La malattia
Poi è arrivata la malattia. «In cinquanta giorni è cambiato tutto, tutto si è rivelato inutile; un calvario da uno specialista all’altro, fino alla decisione del ricovero proprio per scongiurare qualsiasi gesto estremo. Ma la mattina del 3 giugno da quel luogo che doveva curarla e proteggerla è potuta fuggire, vagare indisturbata per i deserti vialoni della periferia fino a raggiungere uno dei tanti anonimi grattacieli milanesi, sede di un hotel; dalla terrazza dell’ottavo piano ha guardato per l’ultima volta quella città che amava tanto, dove era arrivata dalla provincia nella speranza di un posto nel mondo che si era conquistato con la sua intelligenza, il suo talento, il suo perfezionismo, il suo culto per il lavoro», scrive il marito.
«Una donna buona»
Che conclude così la sua lettera: «Fra i lettori di queste righe ce ne saranno alcuni che conobbero Alessandra, ed è verosimile che sviluppino riflessioni ulteriori, più o meno analoghe. Ma quelli che non la conobbero, o l’hanno vista solo in qualche apparizione mediatica, vorrei che avessero di Alessandra l’immagine più semplice che io ne porto nel cuore. Era una donna buona».
Corriere.it