di Cesare Lanza
Scommettiamo che si parlerà spesso di inciuci, da oggi al giorno (ancora imprecisabile) delle elezioni?
Inciucio è una parola di origine napoletana. Dal primitivo significato di «pettegolezzo, sobillamento» (Treccani) siamo arrivati al logorante uso, politico e giornalistico, per indicare le alleanze tra partiti o soggetti di opposta storia, tradizione, tendenza. Inciucio via via si dice a proposito di qualsiasi accordo poco chiaro, ambiguo. Di recente ho partecipato anch’io al tripudio dell’inciucio per indicare il rapporto innaturale, tra Rai e Mediaset, teoricamente antagoniste, per consentire la conduzione, al Festival di Sanremo, delle loro star, Carlo Conti e Maria De Filippi. Se ne sentiva il bisogno, c’erano motivazioni limpide e persuasive? No. Analogamente, per il nostro imminente destino politico, è indispensabile una riflessione. Se l’ammucchiata (altra parola logora, con una radice sessuale) tra partiti avversari, servisse solo a soddisfare gli appetiti di potere di alcuni leader e delle loro truppe cammellate, la mia (non solo mia, per fortuna) avversione sarebbe totale. Per non rivedere un triste spettacolo, deprimente per l’economia e per lo sviluppo sociale. Se, invece, in mancanza di un’adeguata legge elettorale, per arrivare a un governo si dovessero alleare forze politiche di segno opposto, questa sarebbe l’esigenza essenziale: programma preciso e concreto, nell’interesse degli italiani, per affrontare l’emergenza; rispetto delle regole e dei patti annunciati, nessun pasticcio di nessun tipo. In altri Paesi, le cosiddette «grosse coalizioni» hanno funzionato.
Cesare Lanza, La Verità