Anna Foglietta è molto brava a vestire i panni di Andrea, una giovane, bella donna, seducente e fragile, che trascina il proprio amante e alcuni amici di lui e della moglie incontrati casualmente in un gioco apparentemente al massacro ma che ha sorprendenti sviluppi. E’ un po’ la protagonista, il vero motore di questo ”Bella figura” che ha debuttato all’Ambra Jovinelli (dove si replica sino al 27 gennaio), vicenda sostanzialmente corale portata in scena da Roberto Andò e scritta da Jasmina Reza, drammaturga francese nata a Parigi da padre iraniano e madre ungherese, ben rappresentata in Italia e pubblicata da Adelphi, il cui successo internazionale è arrivato quando dal suo ”Il dio del massacro” Roman Polanski ha realizzato il film ”Carnage”.
Ogni suo testo non racconta una vera e propria storia, ma mette in scena le diverse personalità davanti a una situazione più o meno occasionale, che si rivela esemplare per cogliere qualche senso comico e angoscioso di umanità e vita. Qui troviamo un uomo e una donna nel parcheggio di un ristorante: lei, Andrea, madre single, è in macchina irata e nervosa, mentre il suo amante, Boris, piccolo imprenditore sposato e sull’orlo del fallimento, sta cercando di convincerla ad uscire dopo essersi fatto inopportunamente scappare che quel ristorante era amato da sua moglie, ora in viaggio. Mentre i due discutono e decidono di andarsene ecco che arrivano Eric e Francoise, amici di Boris e della moglie, che nello stesso ristorante portano la madre di lui, Yvonne, per festeggiarne il compleanno. Tra imbarazzo e stupore è quest’ultima che invita Andrea a unirsi a loro e questa accetta un po’ per incoscienza e un po’ per punire Boris mettendoglisi ufficialmente al fianco. Nella scena a due piani di Gianni Carluccio nasce allora in un continuo dividersi e reincontrarsi, un susseguirsi di fraintendimenti e chiarificazioni, ma soprattutto un sottile succedersi di imbarazzi e provocazioni, psicologicamente giocato sui diversi caratteri dei personaggi e sugli interventi dell’anziana donna che un po’ la svanita la fa e un po’ ci è.
La scrittura felice e di sorprendente naturalezza della Reza, sottile e costruita senza mai perdere ritmo, in cui gli slittamenti di senso e contenuto, il non detto e i silenzi contano quasi più delle parole che invece i protagonisti si scambiano, fa sì che l’imbarazzo dei cinque arrivi quasi concreto in platea, abbia una sua verità. E’ il risultato ovviamente dell’equilibrio di una regia sensibile che conta sulla qualità di ottimi interpreti, capaci di mostrare la necessaria misura nella varietà di toni e nel dar corpo a qualcosa che è sempre sul limite dell’evanescenza. Così questa situazione da vaudeville trova la propria modernità nel costringere tutti non a agire, ma a misurasi psicologicamente con l’imprevisto, a fare i conti con se stessi, tra un gioco di ruoli e il valore dell’amicizia, modificando pian piano, tra una situazione comica e una tesa, le ostilità e i timori iniziali sino a un finale in cui sembra emergere quel po’ di vera umanità che ognuno, al di là delle proprie insicurezze, porta inevitabilmente in sé. L’Andrea della Foglietta, insicura, inafferrabile, è sempre sull’orlo di una crisi di nervi e inghiotte di continuo gocce di calmante che a un certo punto vorranno tutti, dal Boris di David Sebasti agitato, debole, vittima incapace di reagire, all’insinuante, subdolo Eric di Paolo Calabresi con la sua apparente aria di superiorità che irrita la moglie Francoise di Anna Ferzetti (dal 18 gennaio sostituita da Lucia Mascino) provocatoria cercando di conservare dignità e correttezza del proprio ruolo di vecchia amica della moglie di Boris, anche davanti all’indipendenza e libertà della suocera Yovonne, che Simona Marchini tiene umanamente in bilico senza mai scadere nel carattere. Il pubblico, spiazzato e conquistato da un testo raffinato e sfuggente, applaude tutti giustamente con lo stesso calore.
Paolo Petroni, ANSA