Gué e il nuovo «GVESVS»: «La mia dark side. Mi sono pentito dei soldi sperperati»

Gué e il nuovo «GVESVS»: «La mia dark side. Mi sono pentito dei soldi sperperati»

«Mi piace l’abito elegante, ma continuo a stare bene anche in tuta». Giovedì sera Gué ha tirato fuori il completo nero, la camicia bianca e il cappello. L’occasione era il lancio del suo nuovo album «Gvesvs» al Blue Note, il jazz club milanese assieme a una band con chitarra, contrabbasso, batteria, piano, fiati e un deejay. «Questo disco è l’inizio di un nuovo percorso. Resto però leale al codice rap, non lo tradisco aprendomi ad altro. Ho le radici nell’asfalto», racconta. Gué, all’anagrafe Cosimo Fini, è un pezzo di storia del genere: con i Club Dogo lo ha portato nel mainstream assieme a Marracash e Fabri Fibra, da solista è stato il più bravo, nel bene e nel male, a costruire l’immaginario gangsta e nel 2021 è stato nella top5 degli artisti più ascoltati su Spotify. «Gvesvs» fa emergere un altro lato. Saranno i 40 anni, sarà la pandemia, ma nelle rime c’è autoanalisi, uno sguardo agli eccessi, ai demoni che non ha sconfitto, ma alla fine anche se gli scende la lacrima lui se ne sta seduto su una Lambo con un Rolex al polso.

Poche settimane fa ha tolto Pequeno dal nome. Solo Guè… È diventato grande?

«Alla fine è solo una scritta… Il mio street name sin da ragazzino al parco Sempione era Guercio per via dell’occhio (ha una ptosi palpebrale ndr). E anche star come Young Jeezy hanno fatto lo stesso».

Molti cattolici criticano il titolo e la copertina in cui ricalca l’iconografia di Gesù.

«Anche su Instagram sono stato blastato… Qualcuno ci è andato pesante facendo riferimento al giorno in cui mi troverò solo davanti a Gesù. A me, da ateo, sembra una provocazione non offensiva. Uso da sempre quel gioco di parole: sono nato il 25 dicembre».

La lista di feat e suoni copre l’arco costituzionale: la storia del rap con Marra e Salmo, la nuova generazione con Ernia, il pop di Elisa, l’indie di Franco 126 e Coez, internazionali come Rick Ross e dutchavelli…

«Non è una compilation, i brani sono tutti miei, gli ospiti sono stati preziosi per arricchire casa mia».

È il disco della maturità?

«Non amo il termine. È un album in cui ti ci puoi ritrovare dai 18 ai 50 anni. Ho deciso di staccare l’autotune e andare in una direzione senza tempo pur restando moderno».

Anche il suo amico Marra ha un disco con temi più adulti. Il rap può crescere?

«Quando è arrivata la trap melodica da scuole medie ho pensato che il rap fosse perduto. Poi ho visto che Marra, Noyz e io stesso siamo rimasti rilevanti mentre tanti di quell’ondata sono già alla cassa dell’Esselunga, e lo dico con il massimo rispetto per chi fa quel lavoro».

«Vuoi solo il consenso, non c’è più il talento» dice in «Fredda, triste, pericolosa».

«È un momento sterile per il rap. Vedo molti che barano. C’è chi fa beneficenza per vendere un disco oppure chi va a Sanremo nove volte di fila e si bacia in bocca per sopperire alla musica di m… che fa».

Si riferisce a Fedez e Achille Lauro?

«La scuola è quella fedeziana, ma i casi sono molti di più. In Italia molti fanno parlare di sé mettendo il becco in cose che non conoscono. Anche in politica… Ci sono un sacco di influencer, altri che si atteggiano a delinquenti senza esserlo, ma non vedo in giro rapper bravi. Marra e Caparezza, anche se non è il mio mondo, sono eccezioni».

Ego-trip e autoanalisi?

«Ho messo a nudo la mia dark side, accetto alcuni fallimenti. È stato un modo per capire me stesso più che insegnare agli altri a vivere o criticare tutto e tutti».

La pandemia ha inciso?

«Ho provato una sensazione di cecità e incertezza. Sono benestante, non ricco e al terzo anno in cui non so se lavorerò o meno visto che non guadagno con i brand ma con i concerti, mi sono pentito di avere uno stile di vita che sperpera molto denaro…».

Durante lo show ha citato la nascita di sua figlia Celine… Non aveva annunciato di essere diventato papà.

«Non sono uno che mette la foto del neonato sui social. Non voglio che mi denunci quando avrà 18 anni (ride). Devo ancora realizzare. È così piccola che non c’è un’interazione, ma so che mi arricchirà e mi cambierà nel tempo».

Come le spiegherà l’atteggiamento machista del rap?

«Il rap è entertainment, è spettacolo, la scrittura è arte. Non mi devo giustificare davanti a nessuno, non ho approvato una legge sessista».

Andrea Laffranchi, corriere.it

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