Matteo Garrone affronta il racconto che lo accompagna da bambino, “lo disegnavo a sei anni e da allora è con me, era difficile resistere alla tentazione di farci un film, nel rispetto assoluto di Collodi ma con una cifra in più di leggerezza, ironia e comicità”. Il regista parla di Pinocchio, il suo nuovo, atteso film, una trasposizione produttivamente impegnativa del romanzo universale e con un cast tutto italiano guidato da Geppetto – Roberto Benigni, in sala in 600 copie dal 19 dicembre con 01.
“Il mio nome è spesso legato ad un cinema violento e duro – dice il regista – vorrei invece che si capisse che questo mio Pinocchio è per i piccoli e per i grandi. Mi appartiene ogni fotogramma, ma si rivolge a tutti così come il capolavoro di Collodi, mi piace l’idea di far riscoprire ancora una volta un grande classico, magari riuscendo a sorprendere ancora anche se è una storia che tutti abbiamo dentro”. Tra Benigni e Garrone c’era un accordo: non farsi i complimenti. Ma Roberto lo infrange subito: “Non mi ricordo l’ultimo che ho visto e chi lo ha fatto ma questo di Matteo è decisamente il più bello”, scherza il regista che nel 2002 aveva diretto un Pinocchio, riservandosi il ruolo del burattino di legno. Questa volta è invece Geppetto, “ma io farei anche la balena. Garrone è un grande regista, è un pittore, racconta in maniera unica con le immagini, è commovente e divertente, questo Pinocchio, per i bambini dai 4 agli 80 anni, è un regalo per il mio cuore. E poi Geppetto, che dire di questo babbo per eccellenza, il più famoso insieme a San Giuseppe, entrambi con due figli adottivi che più discoli non potrebbero essere?”. Garrone replica sottolineando il Benigni “straordinario, generoso, coraggioso che si è messo a disposizione del film”.
Emoziona, non emoziona? Il Pinocchio di Garrone si accende nei personaggi chiave del film, la volpe (Massimo Ceccherini), il gatto (Rocco Papaleo), nell’irresistibile lumaca (Maria Pia Timo), nello scenario neorealista alla Paisà come pure Benigni sottolinea. “La povertà come la rappresenta Garrone non è solo dignitosa, ma è quella che ti fa sembrare la vita un miracolo in ogni cosa che accade, come in Chaplin”. La storia di Pinocchio è “un libro che non è solo una fiaba ma quasi divinatorio – dice Benigni – con simbolismi, metafore, allegorie, mille insegnamenti: non dire le bugie che si allunga il naso, ad esempio, una trovata geniale altro che Spiderman, oppure studia se no diventi un somaro, o attento ai brutti incontri e al denaro facile, credi nei miracoli che poi avvengono, ama chi ti ama. Pinocchio è un puro che pensa che nel mondo non ci sia il male e Garrone ce lo restituisce con libertà e originalità”.
L’universalità del racconto di Collodi è alla base del fascino di uno dei libri più amati non solo in Italia, ma Garrone ammette che delle tante chiavi di lettura quella che ha fatto leva su di lui è la più spontanea: “la storia d’amore tra un padre e un figlio, la potenza della redenzione e l’importanza dell’amore, la debolezza delle tentazioni. Ciascuno si riconosce in questo”. Dal punto di vista iconografico, “sono partito dalle origini, dalle illustrazioni di Enrico Mazzanti che lavorò con Collodi stesso alla fine dell’Ottocento”, spiega Garrone, includendo nelle sue ispirazioni i Macchiaioli e il Pinocchio tv di Comencini.
Per convincere i suoi attori, Garrone con la complicità di Pietro Scola ha mostrato una rielaborazione già negli abiti del personaggio: “sembravo mio nonno”, scherza Benigni, “ero Geppetto e non lo sapevo”, “io invece sembravo Rasputin”, aggiunge Proietti che nel film è Mangiafuoco. E poi Ceccherini, anche sceneggiatore, in duo con Papaleo “è innamorato della lumaca” e il Pinocchio in carne ed ossa, Federico Ielapi, 8 anni “quattro ore di trucco al giorno per tre mesi, è stato duro ma mi pagavano bene ed avevo vicino il premio Oscar Benigni e il truccatore Mark Coulier, che di Oscar ne ha ben due”.
Alessandra Magliaro, ANSA