X Factor, tra lacrime e fischi le scelte di Levante e Mara Maionchi

X Factor, tra lacrime e fischi le scelte di Levante e Mara Maionchi

Toccatele tutto, ma non i capolavori della musica italiana. Su quelli meglio non strafare. Altrimenti Mara Maionchi si arrabbia per davvero. E non ce n’è per nessuno: neppure per una voce bella e interessante come quella di Giulia Militello colpevole di aver rivisitato, o meglio trasformato, “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, andando nel pallone e bloccandosi a metà. «Hai cambiato proprio la melodia e non ti sei proprio ritrovata, falla com’è!», le dice la produttrice discografica. Giulia canta meglio, ma non abbastanza da convincere Mara a darle una sedia: «Questa canzone è legata a periodi di vita e tu hai tentato di cambiarla per la tua personale vanità», tuona, quasi in lacrime per la rabbia, la Maionchi. Che ai Bootcamp dell’undicesima stagione di X Factor è arrivata con le idee charissime. Tra uno switch e l’altro, la produttrice discografica completa la sua squadra, quella degli Over, tutta al maschile, senza quote rosa.

Passano il turno e volano verso gli Home Visit: Valerio Bifulco e Andrea Spigaroli che una volta seduti non si alzano più, il livornese Enrico Nigiotti, sua vecchia conoscenza che “soffia” il posto a Ricky Jo (quello della Papu Dance), Andrea Radice, il pizzaiolo napoletano dall’aria timida e la voce potente che sulle note di Recovery ha stregato tutti, anche l’intransigente Mara (che però lo ha invitato a perdere qualche chilo e rimettersi in forma) e l’affascinate tenore Lorenzo Licitra, uno dei concorrenti più forti, «un dito nel c… in gara», come sottolinea Fedez. Un bel “jolly” che Mara non si lascia sfuggire. Niente da fare invece per Noemi Cannizzaro, Paola Perrone e Nicola Pomponi, subito spediti a casa, mentre Alessandro Sette e Valentina Grigò si siedono ma solo per qualche minuto, giusto il tempo di sognare i Live e poi alzarsi per lasciare il posto a qualcun altro.

Dopo Mara, tocca a Levante scegliere chi portare con se, nella squadra delle Under Donne. E chi si aspettava di vederla buona e dolce come alle Audition si sbagliava di grosso: il nuovo giudice è di quelle tostissime, severa ed inflessibile. Punta tutto su voci non potenti, ma particolari, uniche che riescano ad emozionarla. E all’inizio fa una strage: nonostante le cinque sedie vuote, Levante preferisce non illudere nessuno e così rimbalza le prime tre “artiste”.

Ad aprire le danze è Manila Statelli con “A chi mi dice” dei Blue (e non di Fausto Leali): la performance è buona, ma i suoi acuti non piacciono. E così subito a casa, come Alessandra Vedovato e Anna Giulia Pricopo, anche loro costrette a dire addio a X Factor. La prima, finalmente, a sedersi è Virginia Perbellini, la studentessa che alle Audition si era presentata sul palco contro il volere del padre, conquista tutti cantando If I ain’t got you di Alicia Keys al pianoforte. Il pubblico si alza in piedi, e Levante approva: «Ecco cosa sto cercando, puoi sederti», le dice. Sedia anche per Francesca Giannizzari, e grandissime emozioni con Rita Bellanza: sulle note di “Sally” tira fuori tutto il suo dolore e arriva dritta al cuore di Mara Maionchi che scoppia in lacrime e si complimenta con lei. Nessuna sedia per Claudia Guaglione e Kleopatra Jasa, mentre Carolina Saddi Curry addirittura indispone Levante: «Brava ma hai delle movenze che sinceramente mi infastidiscono. E l’emozione non mi è arrivata».

Gli ultimi due posti a sedere sono per Isaure Cassone la francese dal timbro particolare e Camile Cabaltera, 17enne di origini filippine. La sua interpretazione di “Out here on my own” divide la giuria: «Nikka Costa la cantava meglio», sentenzia Agnelli, mentre a Fedez (che tra l’altro ammette di non sapere di non sapere di chi stia parlando il leader degli Afterhours) piace davvero molto. L’ultima parola però spetta a Levante che decide di darle una possibilità. Peccato però che per lei, sacrifichi Eleonora, la “Cyndi Lauper” delle Audition. Partono bordate di fischi dal pubblico e anche per gli altri giudici è un clamoroso errore.

Rosaria Corona, Il Secolo XIX

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