Si schermisce, ma non troppo. Erik Barmack, vice president per gli International Originals, executive di Netflix che commissiona serie internazionali, ha un “soft spot”, un debole, per l’Italia. E, dopo che il colosso americano dello streaming nonché azienda-spettacolo per le performance in Borsa aveva anticipato al festival di Venezia nuove serie “made in Italy” entro fine anno, adesso solleva il sipario sul passo ormai imminente: il prossimo sceneggiato sarà un tassello del progetto di allargare l’audience a fasce sempre nuove e diversificate. In questo caso, spiega, «un dramma al femminile». Parte di investimenti europei – e ora italiani – che in cinque anni hanno mobilitato miliardi di dollari e si stanno intensificando ancora, con oltre cento produzioni in vari stadi di sviluppo.
«L’Italia è un mercato molto ricettivo per Netflix, per la domanda di film a spettacolo. E siamo a nostro agio anche nelle produzioni originali». Basti pensare al numero di titoli nella “cineteca” italiana, che si è impennato del 200% dal lancio del servizio nell’ottobre del 2015. E, soprattutto, al debutto appena avvenuto dell’originale Suburra (in dieci episodi) su scala internazionale. «Abbiamo appena confermato di avere in preparazione un documentario sulla Juventus, quattro puntate di un’ora», aggiunge Barmack. «E ci sono piani per continuare a sviluppare scripted series, altri sceneggiati». Perché «la scelta di fondo è che vogliamo essere attivi produttori di contenuto italiano, attraverso un impegno continuativo». A favore di un contenuto che può anche “viaggiare” bene, come è stato il caso di Suburra «che incontra grande successo dall’America Latina agli Stati Uniti».
L’obiettivo, chiarisce, è «avere produzioni europee per una audience globale. Siamo convinti che le serie internazionali oggi siano sacrificate, sotto-distribuite. Serve una piattaforma che le porti al cospetto di una audience globale. Netflix può e vuole essere questa piattaforma». Una percentuale su tutte: il 70% del pubblico che guarda le serie originali europee è oggi fuori dalla Ue.
L’esempio del potenziale da esplorare torna sulla Juventus – nonostante Barmack confessi una personale predilezione per la Roma. «Prendiamo il caso della docu-series juventina. È una squadra che ha una base di 30 milioni di fan al mondo, non solo in Italia. E l’appeal internazionale è rafforzato dalla presenza di giocatori quali Paulo Dybala. Cominceremo a filmare in autunno con l’obiettivo di andare in onda prima della fine della Seria A».
L’executive sottolinea che si tratta di una novità non da poco per tutta Netflix: seppur non nuova a iniziative sportive «è la prima volta che andiamo dietro le quinte di una grande squadra di calcio».
Il modus operandi di Netflix prescrive la ricerca continua di show e idee. «Dal 2012 abbiamo investito oltre due miliardi in Europa tra produzioni, co-produzioni o accordi di licenza. E ogni anno identifichiamo nuovi prodotti e audience da raggiungere per proseguire con gli investimenti», dice Barmack, che ha commissionato in prima persona anche Suburra.
È una frenesia di nuovo contenuto che contagia l’Italia. «Puntiamo a un pubblico diversificato e in espansione. Suburra è una miscela di crimine, politica, religione. La Juventus è lo sport. La prossima scommessa avrà tema e sapore molto diverso. Sarà una serie drammatica con personaggi e caratteristiche orientati anzitutto al mondo femminile. E posso dire che non sarà affatto l’ultima. Insisteremo con le produzioni italiane. Siamo investitori attivi in contenuto europeo, locale, indipendentemente anche da circostanze o politiche dei governi».
Marco Valsania, Il Sole 24 Ore