Chi gli sta vicino fino all’ultimo sa che Silvio Berlusconi teme la morte, ma non l’aspetta. Il leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset non pensa mai che può davvero essere finita: «Non era tra i suoi progetti». Gli infermieri che lo assistono 24 ore su 24 negli ultimi 21 giorni trascorsi a Villa San Martino ad Arcore, e poi dal 9 giugno ancora al San Raffaele, usano rispetto nel definirlo «ossessionato».
Il pensiero sempre lì, alla riorganizzazione di FI. E la preoccupazione costante per il conflitto in Ucraina e una sua eventuale degenerazione in scontro nucleare. Anche nelle sue ultime ore, Berlusconi è quello che il medico di fiducia Alberto Zangrillo, in occasione di uno dei suoi innumerevoli ricoveri nel giugno 2016, definisce «un leone che non si può tenere in gabbia». Con il suo bisogno di essere un uomo del popolo. Di qui il lavoro, fino alla fine.
Un paziente consapevole ma combattivo
Da paziente l’ex premier è da sempre razionale: più volte — dall’intervento a cuore aperto del giugno 2016 dopo il malore causato da un’insufficienza aortica, fino alla battaglia contro il Covid nel settembre 2020 — ha la consapevolezza che la situazione può sfuggire di mano, allo stesso tempo s’affida ai medici con la volontà di farcela. Ed è così anche venerdì 9 giugno alle 15 quando ritorna al San Raffaele ad appena 21 giorni di distanza dall’ultimo ricovero, il più lungo, il più difficile, quello tra il 5 aprile e il 19 maggio. Di nuovo i suoi esami sono fuori controllo: globuli bianchi alle stelle, piastrine impazzite. Il corpo che non regge più. M a lui non vuole mollare: continua a prendere appunti Silvio Berlusconi, li fa battere, poi li corregge. È il suo modo, forse, di esorcizzare la morte: di certo, il suo desiderio è di essere fino alla fine un uomo impegnato per l’Italia. Zangrillo avrebbe voluto mandarlo in pensione, a godersi ciò che ha costruito, già dopo l’intervento al cuore, che cadeva sette anni fa in questi stessi giorni, il 14 giugno. Non ce l’ha fatta allora a convincerlo e stavolta viene da pensare che il medico non ci abbia neppure provato.
Il «pit-stop» ospedaliero
Nel lungo fine settimana che si conclude con la morte dell’ex premier, alle 9.30 di ieri, la speranza è quella di un pit-stop ospedaliero: controlli medici tipici per chi soffre di leucemia già programmati, ma anticipati alla luce dei risultati degli esami del sangue. Poi la tac ai polmoni che, dopo la polmonite per cui l’ex premier aveva già rischiato di morire, adesso sono puliti; un esame anche al cervello per precauzione massima. L’insufficienza renale superata. Nonostante ciò il pit-stop si trasforma in un ricovero di cui, appare subito chiaro, non è possibile prevedere la durata.
La finale di Champions League
La vita appesa a un filo. Ma, anche nelle ultime ore, lo sguardo gli si illumina ogni volta che guarda i suoi figli, con i quali condivide la passione per il calcio. Ancora sabato, il leader di FI vuole vedere la finale di Champions League tra l’Inter e il Manchester City. Non c’è più quella solitudine che tanto gli pesava durante il ricovero per il Covid di quasi due settimane, nel settembre 2020.
Il peggiorare della leucemia
La sua condanna è la leucemia, diagnosticata per la prima volta agli inizi di dicembre 2021 e che, tranne una pausa per Natale, lo tiene in ospedale anche nel gennaio 2022, in concomitanza con le elezioni del presidente della Repubblica. Un ricovero in quel momento giustificato come solo un’infezione alle vie urinarie. Allora la malattia appare in forma cronica, quasi una patologia senile. Poi, gli episodi acuti, l’ultimo dei quali gli è fatale. Come già successo a due suoi fraterni amici: il presidente di banca Mediolanum Ennio Doris e l’avvocato Niccolò Ghedini.
Il tracollo improvviso
Il paradosso è che la sua morte in qualche modo se l’aspettano tutti, eppure sorprende tutti. Solo venerdì Zangrillo insieme con l’onco-ematologo Fabio Ciceri firma un bollettino per dire che la situazione non desta allarmi né criticità. Il tracollo è improvviso, nonostante la sua prevedibilità. La situazione clinica di Silvio Berlusconi precipita nella notte tra domenica e lunedì. L’auto di Zangrillo che varca alle 4 i cancelli del San Raffaele è il segnale più temuto. Già poco prima delle 6 si capisce che questa volta — al contrario di tutte le altre — l’ex premier può non farcela. Tanto che i figli fanno appena in tempo ad arrivare per salutarlo.
Le sfide con la morte
Difficile non pensare adesso a tutte le volte in cui il leader di Forza Italia vince la sfida con la morte. «È stata una prova molto dolorosa» (giugno 2016). «Grazie al cielo e alla professionalità dei medici ho superato quella che considero la prova più pericolosa della mia vita» (settembre 2020). «È stato un periodo angoscioso e difficile, ma dopo il buio ho vinto ancora. Non mi sono mai sentito solo e ho continuato a nutrire speranza e fiducia. L’incubo è finito» (maggio 2023). In una narrazione che, come ripetuto più volte, assume ormai una connotazione con richiami al miracoloso. «Silvio Berlusconi mi ha chiesto di farlo campare fino a 150 anni per mettere a posto l’Italia», rivela del resto un giorno in un’intervista don Luigi Verzé, fondatore dell’ospedale San Raffaele, quando il sacerdote condivide con Berlusconi il sogno di un ospedale dedicato alla Medicina predittiva. E, quando il 13 dicembre 2009 da premier viene colpito al volto con una statuetta souvenir in Piazza Duomo a Milano, si accascia, viene fatto sedere all’interno della sua vettura dalle guardie del corpo, ma poi torna un attimo fuori dall’auto per farsi vedere, per far capire che è vivo, prima di risalire sulla macchina ed essere trasportato in ospedale.
Le ultime apparizioni in pubblico
Non è mai stato facile per il fondatore di Mediaset darsi una misura nell’affrontare la malattia, anche a costo di apparire in pubblico con tutti i segni della fatica, come nei video trasmessi alla convention di FI il 6 maggio e quello con l’invito a votare per le elezioni amministrative del 14 e 15 maggio. E anche nei momenti più difficili non mancano le battute all’infermiera, il cenno di sorriso a chi gli fa la tac, l’impegno per tornare a camminare senza il deambulatore, gli esercizi di riabilitazione respiratoria. «Forza Presidente, ce l’abbiamo fatta tante volte…», si sentiva dire ancora ieri mattina.