«Due piccoli italiani», dal 14 giugno in sala, è il debutto da regista di Sassanelli (volto noto delle serie tv)
Solo una motivazione forte e autentica può spingere un attore amato e affermato ad avventurarsi sulla strada della regia, a spendere anni per realizzare un progetto, ad affrontare problemi e difficoltà di ogni tipo: «Questa storia – dichiara Paolo Sassanelli, volto celebre di seguitissime serie tv, da «Un medico in famiglia» a L’ispettore Coliandro» -, parla di qualcosa a me molto vicino, che sempre mi commuove». Al centro di «Due piccoli italiani», scritto insieme a Chiara Balestrazzi e Francesco Apice, l’attore neo-regista racconta l’avventura europea di due amici un po’ naif, Salvatore (Francesco Colella) e Piero (Paolo Sassanelli), che lasciano il paesino della Puglia in cui sono nati spinti dal desiderio di realizzare i propri sogni: «Il film ruota intorno a temi che mi appartengono, sono nato a Bari, e, nel ’61, picccolissimo, sono arrivato con la mia famiglia a Milano, dove ci chiamavano “terroni” e ci dicevano “lavatevi”. Nella mia città avevo lasciato un amico che soffriva di una forma leggera di sindrome di Tourette, l’ho rivisto solo dopo molti anni, era schizofrenico, e aveva passato gran parte della sua esistenza in un ospedale psichiatrico. Oggi, a 40 anni dalla legge Basaglia, ho voluto immaginare come avrebbe potuto essere il suo percorso se avesse avuto a disposizione altre possibilità». Il tarlo di Piero è la ricerca della madre, che non ha più visto da quando era piccolo e che pensa di ritrovare quando, a Rotterdam, dopo un’infinita serie di peripezie, scova l’attrice Nathalie (Dagmar Lassander), che, da giovane, lo ha custodito per una breve periodo : «La felicità è ciò che arriva dalla vita – osserva la sceneggiatrice Balestrazzi -, spesso, senza saperlo, si ottengono, per caso, cose migliori di quelle che si desiderano». Nel viaggio, che si conclude tra gli sbuffi vulcanici dell’Islanda, Piero e Salvatore, accompagnati e aiutati dall’amica Anke (Rian Gerritsen), troveranno soprattutto la fiducia in se stessi, quella che non avrebbero mai ottenuto se fossero rimasti attaccati al loro nido rassicurante : «Ci sono persone – spiega Sassanelli -che, affacciate sul parapetto della loro vita, guardano scorrere quelle degli altri. Rassegnate a rimanere attaccate agli scogli come dei molluschi, assaporano l’acqua marina al ritmo delle onde. Può accadere che una di queste “cozze” si stacchi per un evento inaspettato, e, da questo distacco, può venir fuori un cambiamento di prospettiva». Realizzare «Due piccoli italiani» (nelle sale dal 14 giugno) non è stato semplice: «Siamo abituati a fare un cinema “in salita” – ironizza Sassanelli -, non avevamo a disposizione grandi mezzi, ma potevamo contare su una forte passione. Abbiamo girato per 4 settimane, spesso in condizioni complesse, soprattutto in Islanda, dove c’era un clima gelido. La scena finale, nella pozza di acqua calda, l’abbiamo filmata in mezzo al nulla, non c’era niente, nemmeno gli animali». La prima esperienza da regista, arrivata dopo la realizzazione di due corti, ha regalato a Sassanelli la voglia di continuare a lavorare dietro la macchina da presa: «Sto già pensando al prossimo soggetto, riguarderà mio padre che, di mestiere, faceva il truffatore, nel senso che vendeva ai turisti vasi etruschi che, in realtà, erano fatti a Taranto. I carabinieri, quando lo beccavano, si mettevano a ridere, e comunque, in quel modo, mio padre è riuscito a mantenere una famiglia».
Fulvia Caprara, lastampa.it