Scivolò in un pozzo artesiano e morì dopo tre giorni
Palazzi, erbacce, villette oggi coprono il terreno che intrappolava l’eco delle urla di un bambino di sei anni. Era la voce di Alfredino Rampi: trentasei anni fa scivolò in un pozzo artesiano a Vermicino, vicino a Roma, nel quale rimase sepolto vivo. In quei tre giorni di giugno del 1981, a sperare assieme a migliaia di persone c’era anche Sandro Pertini in lacrime al fianco di Franca Rampi. Ed era la prima volta del dolore in diretta.
”Spero che la vicenda di mio figlio sia almeno servita ad aiutare altre vite”, spiega da sempre Franca. Il suo dolore è presto diventato dignità, per poi trasformarsi in coraggio e impegno. Il Centro Alfredino Rampi, che ha dato a Franca la “forza di andare avanti, è nato “affinché non si ripetano più tragedie del genere”: qui circa 240mila bambini e ragazzi partecipano ad incontri con i professionisti della sicurezza, come vigili del fuoco, volontari della protezione civile, speleologi e poliziotti. Allora, invece, c’era inesperienza e improvvisazione. Il coraggio e la tenacia non bastarono e i tg mandarono in onda la lunga diretta della sconfitta.
Ma quella trappola era una sorta di buco nero dal quale anche l’Italia stessa forse non e’ piu’ uscita: da Cogne ad Avetrana, il primo ”Grande Fratello” ha esordito sbirciando tra il fango, le lacrime e i venditori ambulanti di bibite che sfamavano fiumi di gente giunta sul posto. In tv i sequestri delle brigate rosse, le rivelazioni sulla P2 e i dettagli sull’attentato a papa Wojtyla lasciavano spazio ai primi piani delle lacrime di Franca che parlava ad Alfredino sull’orlo del pozzo: un capezzale profondo 64 metri. Maurizio Bonardo, l’allora caposquadra della centrale di Roma dei vigili del fuoco, non si è mai dato pace per ”la promessa non mantenuta”. ”L’immagine della sagoma di Alfredino ricoperta dal fango non la dimentichero’ mai – spiegò nel 2011 in occasione a distanza di 30 anni dalla vicenda – Al padre, Nando ripetevo stai tranquillo, riporterò su tuo figlio. Purtroppo non è stato cosi’. Il momento piu’ brutto e’ stato quando abbiamo dovuto lasciare quel posto. Se fosse successo oggi, invece, con le nuove tecnologie avremmo potuto agire più rapidamente”.
Molti dei soccorritori in prima linea, come Tullio Bernabei, capo speleologo dei soccorsi che allora aveva solo 22 anni, hanno ricordato quella sensazione di impotenza, che ha prodotto ”senso di colpa”, un rimpianto che scava una ”ferita non rimarginabile”. ”E’ mancata la riflessione tra tecnici. Forse si poteva contare di piu’ su di noi – spiega Bernabei – Per me questa vicenda e’ come un tabu”’. In quel pozzo neppure i ”supereroi” hanno vinto.
Angelo Licheri, fattorino di una tipografia, ribattezzato l’ ‘Uomo Ragno’, dopo essersi proposto per i soccorsi, era riuscito a resistere 45 minuti in quelle viscere appeso a una corda e a testa in giu’. Ha parlato ad Alfredino raccontandogli favole, mentre nel frattempo gli toglieva il fango dagli occhi e dalle labbra. L’ultimo momento di umanita’. Quando Licheri è risalito era solo e in pessime condizioni. ”Lo afferravo e scivolava via, non potevo fare nulla”, racconta Licheri, che oggi a oltre 70 anni è su una sedia a rotelle. Pompieri, speleologi, eroi improvvisati, un fattorino esile e coraggioso chiamato ‘Uomo ragno’, contorsionisti e nani pronti a calarsi in una ‘cannuccia’ larga 30 centimetri per salvare il protagonista invisibile. A tratti sembravano i personaggi di una favola tv dall’imminente lieto fine dove, prima di tornare sconfitti davanti alle telecamere, gli attori del reality si facevano inghiottire da quel cunicolo che poi ha rigettato tutti. Tutti tranne Alfredino. Perché a volte in tv non c’è confine tra fiaba e incubo.
ANSA