La fiera di Torino si avvia alla conclusione. E cerca una soluzione per evitare un altro «caso Altaforte». Gli editori: segnali nel complesso positivi
Il Salone del Libro si avvia alla conclusione, i dati ufficiali sull’affluenza ci saranno soltanto l’ultimo giorno, il 13 maggio, ma non è difficile immaginare che ci saranno segni più. Giulio Biino, il notaio che dopo la decisione presa dal governatore Sergio Chiamparino (Partito democratico) e dalla sindaca Chiara Appendino (Cinque Stelle) di revocare l’ammissione della casa editrice Altaforte, vicina a CasaPound, non ha dormito la notte, è consapevole che ora bisogna individuare un sistema per non trovarsi un’altra volta nella stessa situazione.
Matteo Salvini (il libro intervista del ministro con Chiara Giannini, pubblicato da Altaforte, è ancora in testa alla classifica di Amazon) è tornato sul caso: «L’editore è vicino a CasaPound? E chi se ne frega? CasaPound è fuori legge? — ha detto in tv a Lucia Annunziata —. Esiste il Partito della Rifondazione comunista, a me fa ridere, ma non credo che debba essere messo fuori legge. Mi fa paura che al Salone di Torino qualcuno non venga fatto entrare, questa non è democrazia».
Il codice etico su cui si sta ragionando, secondo Biino, è la soluzione al momento più praticabile per evitare, in futuro, casi simili. Che all’uomo di legge non piacesse la decisione di espellere Altaforte è noto, la discussione all’interno del comitato di indirizzo è stata «robusta», ma alla fine la questione morale è andata oltre la norma e «quella presa è stata l’unica soluzione possibile. Non credo che il codice etico sia la panacea — dice il presidente — ma è lo strumento più semplice, quello che adottano le amministrazioni pubbliche. Se si chiede a chi vuole partecipare al Salone di sottoscriverlo, se ci si impegna, per esempio, a non fare apologia del fascismo e poi lo si fa, è più facile, da un punto di vista giuridico, risolvere un contratto, anche se entra sempre in gioco un aspetto di valutazione».
Al notaio piacerebbe, in realtà, trovare «uno strumento giuridico che possa essere più sicuro del codice etico» e su questo vorrebbe lavorare una volta conclusa questa edizione. La formula pubblico (Circolo dei Lettori), privato (Torino, Città del libro) ha funzionato, Biino si augura di poter già cominciare a lavorare per l’edizione 2020, dal 14 al 18 maggio. «Questa è una macchina straordinaria per la città e chiunque vinca le elezioni regionali non dovrebbe rinunciarvi. Certo, l’ingresso del Comune nei soci del Circolo è una sicurezza in più. Si sta lavorando alla modifica dello statuto perché questo si verifichi. Non mi spaventa più di tanto, mi spaventa di più sostituire Maurizia Rebola». Mentre il presidente e il direttore sono in carica per tre anni, infatti, la direttrice del Circolo, in scadenza, non è rinnovabile e l’incarico verrà messo a bando.
Anche il direttore Nicola Lagioia ragiona sul tema del codice etico, su cui ha qualche perplessità: «Ha dei pro e dei contro, può essere un’arma a doppio taglio, diventare discrezionale. Non è da prendere alla leggera, bisogna trovare un modo che possa evitare che diventi un arbitrio, non deve andare a detrimento della libera circolazione delle idee, ma deve rendere ogni decisione più fluida. Uno può tranquillamente venire al Salone e dire: la democrazia mi fa schifo, il problema è se fa capire che può fare qualcosa che la democrazia la mette in crisi».
Lagioia è soddisfatto dell’affluenza («credo che sabato sia stato veramente uno dei giorni di maggiore pubblico nella storia del Salone»), ma soprattutto dell’atmosfera di rilassatezza e partecipazione del popolo della rassegna, verso cui, dice «noi sentiamo la responsabilità maggiore, e lo dico anche per chi a un certo punto voleva non venire. Ma d’altronde anche questo è il frutto del programma e lo rivendico. Se avessimo fatto un Salone più vetrina commerciale e meno dibattito culturale non sarebbe successo. Da questa storia mi sembra che siano emersi, da un lato alcuni commenti complessi, articolati, dall’altro, soprattutto sui social, reazioni tribali, che fanno molto pensare».
Anche gli editori ieri hanno fatto un primo parziale bilancio, che registra segnali nel complesso positivi con qualche ripercussione soprattutto per alcuni stand nel nuovo padiglione Oval che, inizialmente, ha risentito di uno scarso afflusso e penalizzato le vendite. «I primi due giorni non sono andati bene — dice Sandro Ferri, editore di e/o, la casa editrice che pubblica Elena Ferrante — e noi siamo sotto la media dello scorso anno, ma bisogna anche dire che venerdì avevamo pochi eventi. L’Oval mi piace e penso che con il tempo la gente arriverà, se lo si segnala meglio».
Chiude in pari con lo scorso anno Feltrinelli che sabato ha recuperato il gap dei primi due giorni, superando il sabato dell’anno scorso, mentre Sellerio, che ha festeggiato al Lingotto i 50 anni della casa editrice, registra un 20% in più, e, sempre nell’Oval, Newton Compton parla di un +10%. Soddisfatto Stefano Mauri, amministratore delegato del gruppo Gems, alloggiato nella parte vecchia delle fiera, mentre da Giunti si limitano a far sapere di essere molto felici di «essere rimasti nel padiglione 3».
Laura Donnini di HarperCollins parla di un «notevolissimo incremento nelle vendite rispetto allo scorso anno anche per una proposta di titoli molto accresciuta».
Incremento del 10% anche per il gruppo Mondadori. «Dopo un giovedì un po’ in sordina, nei giorni successivi l’afflusso del pubblico è aumentato, e anche le vendite, al sabato, sono state in crescita rispetto all’anno scorso», spiega Enrico Selva Coddè. L’amministratore delegato di Mondadori Libri Trade promuove l’Oval: «In generale il padiglione è bello, moderno, ineccepibile dal punto di vista della funzionalità, a parte l’insufficiente insonorizzazione delle sale aperte, spesso contigue l’una all’altra, che rende la vita difficile ai relatori e al pubblico. Se c’è stato meno afflusso nel primo giorno credo sia più per un tema di comunicazione: l’Oval e gli altri padiglioni sono due strutture diverse e non così vicine, forse si potrà segnalarlo meglio in futuro».
Cristina Taglietti, corriere.it