(MICHELA TAMBURRINO, sick La Stampa) Renzo Arbore racconta il programma cult: “Niente testi, era una jam session”
Da sinistra, Laurito, Marchini, Bracardi, Arbore, Frassica, Annicchiarico, Ferrini, Luotto, Gargiulo, Pazzaglia. Le ricorrenze come le commemorazioni si portano dietro qualcosa di vagamente lugubre. Lo sa bene Renzo Arbore che ha sempre rifuggito dalle manifestazioni nostalgiche legate ai suoi successi. Per i trent’anni di Quelli della notte programma cult da feticismo smodato, ha rifiutato ogni proposta tv di festeggiamento.
Ma all’Università La Sapienza, dipartimento di Scienze sociali ed economiche, non ha potuto dire di no. Perché si è trattato di parlare agli studenti di un fenomeno che ha cambiato il modo di fare televisione, che ha rivoluzionato il linguaggio e le dinamiche sociali.
Accompagnato dal sodale Dario Salvatori esperto musicale del programma e introdotto dalla professoressa Marilisa Merolla, in un’aula gremitissima ha tenuto una lezione su un fenomeno di massa e culturale che ha segnato gli Anni Ottanta, con aneddoti inediti. Un marchio secondo solo a Lascia o raddoppia, 18 milioni di telespettatori in un orario fino al giorno prima occupato dal monoscopio. Dedicato ai tiratardi, esperti del nulla, disse a Minoli.
Senza attori (tranne uno)
Correva l’anno 1985 e il nostro crooner, jazzista innanzitutto, voleva fare un’operazione non da poco: portare il blues nella parola. Per farlo doveva trovare persone in grado di improvvisare proprio come si fa nel jazz: «Io ho una fissazione per quella musica e volevo ricreare, in questa chiave, un dialogo non preparato, senza attori, senza liturgie, senza recitazione. Solo Marisa Laurito era attrice, eduardiana addirittura, accanto a lei c’erano quelli che nella vita sono simpatici e basta. E tutto era totalmente live».
Come una jam session si proseguiva senza sapere di che cosa si sarebbe parlato. «Con Riccardo Pazzaglia sceglievamo all’ultimo un tema che fosse alto ma facile da banalizzare. Così si procedeva alla cieca».
Incoscienza pura per una tecnica inventata. Si dice che l’idea nacque durante una riunione di condominio. «Riunii degli amici e a ognuno affidai un ruolo. Ferrini, che aveva il padre comunista organico, divenne il primo leghista della storia, che individuò un muro all’altezza di Ancona per dividere il suo amato Nord dall’odiato Sud. Frassica fu il primo frate in tv dopo padre Mariano. La Laurito era la cugina chiacchierona, la Marchini portò il gossip in tv, D’Agostino, dj informato sulle mode, fu il «lookologo», Andy Luotto faceva l’arabo e ci fu il primo incidente diplomatico della storia, triste presagio. Mi convocò d’urgenza il vice direttore della Rai annunciandomi che lo aveva chiamato Andreotti: la Giordania non avrebbe tollerato oltre le prese in giro di Quelli della notte. Da lì in poi Luotto tornò a casa scortato».
Risate intelligenti
Il programma durò solo due mesi ma aprì al disimpegno dopo i cupi Anni Settanta e alla risata intelligente, nonostante le apparenze, e innocua. Una sit-com live che in America non hanno saputo replicare e che anticipò altre trasmissioni come Indietro tutta. «Ma quello era un attacco feroce alla dittatura della televisione. Visto che le sigle per me sono il manifesto di un programma, mettemmo una marcetta fascista con rimandi tipici alle canzoni del Ventennio. Lo capì solo Giuliano Ferrara. Mentre Umberto Eco mi disse che con i miei programmi avevo aiutato il disgelo Nord Sud. Ovviamente tutto questo umorismo nasceva perché le persone con le quali lavoravo avevano un retroterra culturale forte, che ci permetteva anche di giocare. Sono e rimango un Totologo, da Totò; umorismo che non ha un legame temporale con il quotidiano e che per questo entra nella storia. L’attualità non ci interessa».