LA TRISTE PARABOLA DI CROZZA, COMICO DI REGIME

LA TRISTE PARABOLA DI CROZZA, COMICO DI REGIME

All’attore si richiede cattiveria spietata, non affettuosa bonomia. Il consiglio è quello di studiare Beppe Grillo, una furia impossibile da contenere

Sfidando l’ampio consenso attribuitogli dal pubblico, dirò subito che Maurizio Crozza non mi ha mai entusiasmato.
A parte Alighiero Noschese, che fu maestro di fregolismo nell’indossare maschere e panni di altri, gli imitatori non mi piacciono, mi annoiano, e questo vale anche per Virginia Raffaele: proprio non capisco che cosa ci sia di divertente nell’amplificare un difetto di pronuncia, una movenza, un carattere. Arte inutile, quella dell’imitazione, al pari dei vignettisti.
Quanto alla satira politica, mi pare una versione davvero pallida e insipida rispetto ad altri momenti, anche recenti. Ma è storicamente provato che con i governi di sinistra la comicità si annacqua, per poi ritrovarsi con il ritorno dei moderati. All’attore si richiede cattiveria spietata, non affettuosa bonomia. Il consiglio è quello di studiare Beppe Grillo, una furia impossibile da contenere: lo facciano soprattutto gli autori dei testi, dedicati soltanto alla stretta attualità settimanale, su fatti che si dimenticano in fretta. O almeno rivedersi Luciana Littizzetto, che si prende il rischio di essere volgare e scorretta a 360 gradi.
Fratelli di Crozza è il nuovo programma con cui il popolare Maurizio sbarca il venerdì sulla Nove, gruppo Discovery, in prima serata. Un’ora e mezza tra monologhi e imitazioni dove alterna repertorio collaudato a novità suggerite appunto dalle ultime notizie. Vestito tutto di nero, a metà tra il buttafuori di una discoteca e un commesso di Prada, a Crozza andrebbe intanto suggerito l’uso di una camicia bianca, perché il look total black è quanto di più inelegante ci sia nell’abbigliamento maschile. Gli bastano una parrucca, due accessori, il trucco e un po’ di mimica, per «diventare» lo chef Antonino Cannavacciuolo o il giornalista Maurizio Mannoni. E altri personaggi sono attesi nelle prossime puntate (dieci in tutto) fino a metà maggio.
Quando si decide a usare l’arma più acuminata del sarcasmo, Crozza scivola però nel luogo comune, soprattutto nel «rifacimento» di Maurizio Belpietro, imitazione che gli riesce proprio male perché non basta puntare sull’accento bresciano per suscitare ilarità. Ben altro trattamento, da pacchetta sulla spalla, riserva alle vicende del Pd, peraltro non così interessanti. Dopo essersi dedicato per diversi mesi all’ex premier Renzi, oggi la nuova «vittima» (si fa per dire) è il corpulento Michele Emiliano. Ma anche qui, scimmiottarne la cadenza barese è davvero poca cosa. In confronto Lino Banfi farebbe una figura da premio Oscar.
Un programma proprio moscio e scontato, con cui Crozza ha completato il prevedibile iter di comico del regime.

Il Giornale

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