(di Tiziano Rapanà) Che i Cugini di Campagna siano pìù rock dell’odierno cantare è cosa ovvia. Ma guai a dirlo, perché la fanfara dei media nostrani ha tentato di ridurre i Cugini a reucci del revival perpetuo. A loro era stato consegnato il destino dell’Anima mia ad infinitum. Poi Amadeus ha cambiato le cose: li ha riportati nel mainstream con un nuovo pezzo, scritto dalla Rappresentante di Lista, Lettera 22. Non male: è un buon brano che si adegua alle dinamiche dell’aggiornata evoluzione dell’osmosi pop. Ma i Cugini sono altro: il loro passato è luminosamente rock. Vi invito ad ascoltare Metallo e Gomma, due lp che rappresentano la creatività più viva e vivace dei Cugini. Non avevano nulla a che fare con la frivolezza della lagnanza smielata italica di quel periodo. In quei due dischi si sentono echi di un suono internazionale, molto vicino alla musica inglese e a gruppi come gli Status Quo. I testi sono audaci e irriverenti (Metallo racconta il dramma della tossicodipendenza, Domenica di Pasqua irride il patriarcato e lo mette alla berlina con più efficacia dell’odierna saggistica sul tema, Floridia canzona i patimenti di un ragazzo più interessato alla dote che all’amore), le musiche aiutano a creare una colonna sonora idonea a quei racconti legati anche alla disperazione più recondita dell’umano sentire. Poi si sono riposizionati nel passato del già detto e suonato. E hanno reiterato in tremila trasmissioni televisive. Ora il ritorno nell’ultimo Sanremo. Riscopriteli. Non sono cantanti da una canzone: il loro repertorio contiene pezzi interessanti, mescolanze riuscite di pop classico e rock progressivo (ascoltate brani come Morbide le mani, Ufo e La prima notte, per capire bene cosa intendo), sperimentazioni ardite ed evergreen immortali.