Fabrizio Del Noce è stato direttore di Raiuno dal 2002 al 2008. Poi è passato a capo di RaiFiction. Quindi di Viale Mazzini e del Festival di Sanremo ne sa quanto basta. Oggi è pensionato e vive a Lisbona, ma uno sguardo alla sua vecchia rete ammiraglia lo dà sempre. Magari di sguincio (come ama dire lui). Anche perché tuttora sono in voga programmi di successo inseriti nei palinsesti proprio sotto la gestione Del Noce (allora Angelo Teodoli, l’attuale direttore di Raiuno, era il vice). Solo per citare i più famosi: Ballando con le stelle, L’Eredità, La Prova del Cuoco, I Migliori Anni, Ti lascio una canzone, I Soliti ignoti, Affari tuoi, Reazione a catena.
Tuttavia, di questo Sanremo appena concluso c’è stata una nota stonata che proprio non gli è andata giù.
«Premesso che Baglioni – spiega Del Noce – ha realizzato un grande Festival, riportando cantanti e ospiti italiani, con ascolti eccellenti, inaspettati alla vigilia, devo dire che ho trovato il monologo di Favino una violazione della par condicio».
Che cosa c’era di sbagliato? Ha emozionato tutti…
«Favino è un grandissimo attore. Gli vanno fatti tantissimi complimenti per l’intensità, la passione e la qualità del suo monologo. Ma la Rai ha commesso un gravissimo errore non controllando il testo, dando l’impressione che non ci sia un direttore di rete e un capostruttura. Con me non sarebbe mai successo. Pensi che quando Celentano faceva i monologhi e non potevamo controllarli io mi autosospesi per tutta la durata del programma».
Ma dove stata violata la par condicio?
«Se Favino quel monologo l’avesse recitato l’anno scorso o il prossimo anno sarebbe stato da standing ovation, ma in piena par condicio non si può fare. La Rai è stata attentissima nel rispetto della forma, non inquadrando i politici in sala, addirittura neanche un volto Rai come Elisa Isoardi non è stata inquadrata perché era seduta accanto a Salvini. Durante lo show di Fiorello si è stati attentissimi con le telecamere alle alzate di mano del pubblico. Poi però che succede non si rispetta la sostanza mandando in onda un testo che è uno spot alla Boldrini e ai centri di accoglienza. Un inno all’immigrazione, quando su questo tema è in atto un braccio di ferro in campagna elettorale. Ripeto non è un attacco né al contenuto né a Favino. Si tratta di un discorso apparentemente molto elegante e intellettuale che però finisce per influenzare in maniera subliminale l’opinione pubblica. Un errore grave, questo, commesso dai responsabili Rai mentre nel caso dell’Arena di Giletti hanno fatto bene».
Che c’entra Giletti?
«Io ho un ottimo rapporto con lui. È una persona a cui voglio bene. Ogni volta che mi vede mi ringrazia sempre per averlo portato a Raiuno. Tuttavia, dispiace dirlo, oramai non fa più il giornalista bensì l’aizzatore. Ha detto di non accettare le prime serate che gli hanno proposto in sostituzione dell’Arena perché si sente più giornalista che conduttore. Ma un giornalista deve informare e non aizzare il pubblico. Un giornalista non può sposare una singola causa in maniera così passionale da influenzare il contraddittorio. Quindi devo dare ragione a Orfeo perché in Rai non serve chi aizza il pubblico».
Lei è stato molto critico anche con la Domenica In delle Parodi. L’ha bocciata già alla prima puntata, anticipando il flop scaturito dai dati di ascolto. Ma Sanremo ha fatto il miracolo…
«Gli ascolti di Sanremo sono drogati. Tutti i programmi ne hanno beneficiato. Quindi non è un miracolo. Guardando Domenica In di quest’anno si vede che la trasmissione non ha un filo logico. Io ho criticato gli autori. La tv di oggi è velocità: non si possono fare interviste agli ospiti per mezz’ora! Solo se hai la Loren puoi permettertelo. Non siamo al programma della Latella o dell’Annunziata. Non dico che per condurre un format di intrattenimento servano solo showman alla Baudo, ma ci vuole un conduttore che abbia il cambio di passo. E la Parodi non ce l’ha perché viene dal telegiornale».
Si pensa alla Clerici per il prossimo anno…
«Lei sì che ha il cambio di passo. Può fare le interviste e ispirare un balletto. Un contenitore come Domenica In deve essere uno show con tante coniugazioni. Ma soprattutto deve essere pensato».
Marco Castoro, Corriere dell’Umbria