GRAMMY, ADELE TRIONFA NELLA NOTTE DEI TRIBUTI E OMAGGIA (LA RIVALE) BEYONCÉ

GRAMMY, ADELE TRIONFA NELLA NOTTE DEI TRIBUTI E OMAGGIA (LA RIVALE) BEYONCÉ

La cantante prende 5 statuette ma tradita dall’emozione stecca l’omaggio a George Michael. Ironie anti-Trump di Katy Perry e JLo. Niente premi per Bocelli e Pausini

adeleLa star dei Grammy 2017 è Adele. Vince 5 premi. I due più importanti: «Best song» e «Best album», più «Best record», «Best pop solo performance», «Best pop Vocal album». Incanta all’inizio di serata con una potente versione di «Hello», il brano tratto dall’album «25»: trionfatore dei Grammy Awards, ma prima ancora, la colonna sonora dell’America 2016 e non solo. Poi sbaglia un passaggio mentre esegue «Fast Love», in ricordo di George Michael; sibila fuck allontanando il microfono, ma non sfugge alle telecamere e all’audience dello Staples Center di Los Angeles. Più tardi chiede scusa, mentre sale e scende dal palco per ritirare, uno dopo l’altro, i cinque grammofoni d’oro. Finisce in lacrime e con un lungo elogio della sua rivale: «Beyoncé il tuo lavoro è monumentale».
Beyoncè esalta la maternità: la gravidanza al servizio dello spettacolo
Piange anche la pop star afroamericana che si deve accontentare di due soli riconoscimenti: «Best urban contemporary album» per «Lemonade» e «Best music video» per «Formation». Beyoncé ha provato a impadronirsi della scena, a marcare il grande show con la sua musica e soprattutto con uno sfarzo scenografico forse anche eccessivo. Si è presentata come una divinità sovrannaturale, valorizzando il pancione da gestante con veli dorati e movimenti dolci. Il contrasto tra le due artiste non può essere più netto: Adele anche un po’ goffa, infagottata in un vestito verde lunghissimo; emotiva fino all’errore. Beyoncé perfetta, super sexy, politicamente e socialmente impegnata. Forse con qualche furbizia: si è fatta presentare da sua madre, si è fatta riprendere con sua figlia di 5 anni, si è prodotta in una poetica esaltazione della maternità, dell’infanzia eccetera. Non c’era modo migliore per mettere la sua gravidanza al servizio dello spettacolo.
Lady Gaga in versione heavy metal
La serata della 59esima edizione dei Grammy Award è un contenitore incredibile: 84 categorie in gara. A David Bowie, scomparso il 10 gennaio 2016, vengono assegnati 5 premi postumi, per il suo «Blackstar», pubblicato due giorni prima di morire. Tre trofei per la rivelazione Chance the Rapper. I migliori artisti americani sono qui. Risulta persino difficile fare l’elenco. Lady Gaga, archiviato il futurismo visto nell’intervallo del Super Bowl, si presenta in versione heavy metal; Alicia Keys fa da formidabile spalla all’emergente Maren Morris; Katy Perry presenta il suo nuovo singolo «Chained to the Rythm», con una coreografia quasi allegorica: una cittadella assediata dalle fiamme. Sul muro si legge «We the People»: le prime tre parole della Costituzione americana. Nel 2016 Kate Perry si è spesa nella campagna elettorale di Hillary Clinton. Stasera aveva una fascia intorno al braccio con la scritta «Persist», resisti: un incoraggiamento, pare, alla senatrice democratica Elizabeth Warren, ridotta al silenzio dai repubblicani durante l’audizione del ministro della Giustizia Jeff Sessions.
Anche Busta Rhymes attacca il «Presidente arancione»
Nel teatro è come se si fossero riuniti gli Stati generali della musica e dell’arte, per la prima volta dopo l’elezione di Donald Trump. L’ambiente è geneticamente ostile alle politiche del presidente degli Stati Uniti. Ironie, battute sarcastiche spuntano un po’ ovunque. Jennifer Lopez prova a sistematizzare le critiche affidandosi a una citazione della grande scrittrice afroamericana Toni Morrison: «Questo è esattamente il momento nel quale gli artisti devono mettersi al lavoro. Non c’è tempo per lo scoramento, per l’autocommiserazione; non c’è bisogno del silenzio; non c’è spazio per la paura». Il rapper Busta Rhymes è stato più esplicito e più pesante. Donald Trump diventa il «President Agent Orange», responsabile del veleno che si sta diffondendo attraverso gli Stati Uniti. Il «presidente arancio» che ha già incassato la prima sconfitta con il bando (temporaneo) verso i musulmani, respinto dai tribunali del Paese.
Non c’è gloria per la delegazione italiana
Nella notte delle grandi star non c’è gloria per la delegazione italiana, nonostante il suo calibro. Hanno perso tutti: Laura Pausini, candidata nella categoria «Best Latin Album» è stata sconfitta da Jesse and Joy; Andrea Bocelli, nominato per il «Traditional Pop vocal album» non ha superato Willie Nelson; Ennio Morricone, non ha bissato il premio Oscar per la colonna sonora del film di Tarantino The Hateful Eight. Nulla da fare neanche per l’Accademia nazionale di Santa Cecilia, in corsa con «Verismo» nella gara per il «Best Classical solo vocal album».

di Giuseppe Sarcina, Il Corriere della Sera

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