Gli anni passati tra Padova e la California, la serie che l’ha resa famosa e le decisioni prese «di pancia». Ora Sara Lazzaro guarda avanti. Non dimenticando il consiglio che le diede papà
Sara Lazzaro è soddisfatta, ha superato una delle prove più difficili per un’attrice: non rimanere incastrata nel suo personaggio. Per una come lei, che ha raggiunto la popolarità grazie ad Agnese Tiberi, l’ex moglie del dottor Andrea Fanti nella serie tv DOC – Nelle tue mani, il rischio che quel ruolo diventasse una trappola senza via di scampo era altissimo. «In inglese si chiama pigeonhole (etichettare, ndr)», spiega l’attrice, «è una condizione dalla quale è difficile tirarsi fuori». Proprio per questo, i tanti progetti che la vedranno protagonista nella prossima stagione la rassicurano. Nata da madre americana e papà italiano, Sara Lazzaro, che è cresciuta tra Padova e la California, è riservatissima. Della sua vita privata non si sa praticamente niente, se non che ha una cagnolina che adora, Kyla, e un compagno del quale rifiuta di rivelare l’indentità. Il 13 gennaio l’attrice tornerà tra le corsie di DOC su Raiuno. Poi la vedremo in nuove produzioni: la seconda stagione di Volevo fare la rockstar, la serie tv Fedeltà, che andrà in onda a febbraio, e il nuovo film di Paolo Virzì, Siccità.
Pochi si sarebbero aspettati che DOC – Nelle tue mani avesse tanto successo. Ha sentito il peso delle aspettative mentre girava la seconda stagione?
«Un po’ era inevitabile, ma questa energia ci ha aiutato a ripartire con maggiore grinta. Sono contenta che Agnese sia stata capita, anche perché ho cercato di non adagiarmi sugli allori e dare il massimo. La sfida più intrigante è aver fatto i conti con una donna più grande di me».
Com’era lei da ragazzina?
«Molto riflessiva, ma anche sognatrice. Avere una duplice crescita tra gli Stati Uniti e l’Italia non mi ha permesso di coltivare molte amicizie, ma entro in confidenza con le persone abbastanza facilmente».
Quali erano i suoi sogni?
«Sapevo che l’arte sarebbe stata il centro della mia vita. Durante il liceo ho avuto la prima esperienza in un laboratorio di teatro: ho sentito qualcosa di strano, come se stare sul palco fosse una cosa che facevo da una vita».
Però, non ha seguito subito quell’intuizione.
«Ho studiando arti visive dello spettacolo a Venezia. Intanto recitavo in piccole compagnie. Fino a quando non mi sono convinta a fare il salto. Mi sono trasferita a Londra, sono entrata al Drama Centre e ci sono stata due anni e mezzo».
Dove ha trovato la spinta per andare avanti?
«Cerco di non farmi bastare la gente che mi dice “brava”. Per me è fondamentale seguire un percorso esistenziale creativo. Non è prescritto dal dottore fare questo mestiere. Anzi».
Si spieghi meglio.
«La vita di attrice non è facile, anche se ho sempre cercato di seguire la “pancia”. Dopo l’esperienza a Londra, sono andata in California per festeggiare i 90 anni di mia nonna e, come spesso mi capita, non avevo comprato il biglietto di ritorno. Mi sono trasferita a Los Angeles con 100 dollari in tasca e mi sono costruita una vita lì: ho fatto tanti lavoretti, come la cameriera e la commessa di scarpe a Venice Beach».
La sedentarietà la spaventa?
«Sto percorrendo delle rotaie definite, ma questo è un discorso legato alla continuità più che alla sedentarietà. Non le nascondo che mi piacerebbe tornare a Londra. Per ora, però, accolgo quello che viene. Una volta papà mi disse: “Fai quello che ti fa venire voglia di alzarmi la mattina”. Ecco, io cerco di farlo».
Gli uomini della sua vita, oltre suo padre?
«Da bambina stavo sempre con i maschi ma, per essere inclusa nel loro gruppo, dovevo arrampicarmi sugli alberi, saltare dalle cascate e giocare a calcio».
Altre sue doti che non conosciamo?
«Ogni tanto collaboro a creare delle colonne sonore per il cinema. Ho suonato il pianoforte e la chitarra da autodidatta».
Che cosa le manca?
«Mi piacerebbe provare con la regia. Penso di aver raggiunto l’età giusta per mettermi alla prova».
Chi le piacerebbe dirigere?
«Difficilmente userei un interprete per l’aura che porta. Cercherei, piuttosto, di capire fin dove possa spingersi».
È vero che il suo compagno è un attore? Lo dirigerebbe?
«Lui non vedrebbe l’ora».
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