Fra le sue tante personalità c’è quella domestica: passare l’aspirapolvere e lavare i piatti sono attività che ama. L’attore siciliano però si definisce soprattutto un «esploratore» che non conosce limiti e definizioni certe dell’amore perché non le desidera, né le cerca
A immaginarci come un condominio, chi abiterebbe le nostre case interiori, le stanze di dentro? La fantasia ci viene per gioco, con Francesco Scianna, mentre troviamo riparo dal freddo in un ristorante sui Navigli di Milano, e lui si aggiusta sul collo il paltò, si abbottona perbene perché quello non s’insinui. «Oltre all’attore, che possiede ovviamente molti millesimi, in me vivono almeno un musicista (suono tutti gli strumenti – pianoforte, batteria, chitarra – tranne i fiati, e compongo canzoni), e un pescatore (avevo 5 anni la prima volta con la canna).Infine, c’è la tata. Pulisco, lavo i piatti, passo l’aspirapolvere. Ho un’anima casalinga, e cura delle faccende domestiche. Non stiro, però».
Altri da dichiarare?
«Il nevrotico psicopatico. La parte di me che impazzisce dal niente, per esempio quando una donna mi lascia segni di mani o di trucco sulle pareti bianche».
Detta così, sa di un concorso di piacere, oltre che di colpa.
«Anche fosse, davvero non capisco come possa succedere. Così, non mi resta che prendere la vernice e mettermi a ridipingere tutto».
C’è dunque pure un pittore.
«E un ragioniere: a ben guardarmi, sono proprio un ossessivo. A partire da scadenze, burocrazie e bollette».
Preciso è pure Alfonso, che interpreta in Attenti al gorilla di Luca Miniero, al cinema in questi giorni. Compagno di Cristiana Capotondi, si occupa dei suoi figli. E la vuole sposare.
«Medico presente, ha dinamiche interiori più da femminile che da maschile di famiglia. A tutti gli effetti provo che cosa significa essere la donna di casa. Organizzo io questo matrimonio – dove peraltro vivo l’ex di lei, Frank Matano, quasi come un ingombrante quarto figlio – e mentre ordino la torta e l’abito, la sento piano piano sfuggire alla promessa che ci eravamo fatti».
Stando sempre Attenti al gorilla…
«Per fiducia nell’evoluzione biologica e per nostra presunzione, ci crediamo migliori delle scimmie. Ma se ci osservassimo davvero, ci scopriremmo meno sviluppati di loro che, vivendo d’istinto, sembrano avere più chiari di noi i bisogni, tanto da realizzarli seduta stante in un rapporto causa-effetto decisamente facile rispetto al nostro, sempre costretti alla mediazione del pensiero, alla sua elaborazione».
L’animale che si porta dentro che cosa vuole?
«Più elementarità, e di conseguenza forse più libertà. Faccio i conti da sempre con una sensibilità importante. E la ragione è certo un grande motore, ma spesso è d’intralcio».
Che donne avvicina?
«Le irrazionali. E sono anche quelle che trovano in me lo spazio di farmi perdere il controllo».
Stato civile?
«Esploratore. Uno che crea e cerca stimoli negli incontri con l’altro, o individuali con il proprio sé».
Il desiderio di paternità è qualcosa che la tocca?
«Da quando avevo 25 anni, ciclicamente. Forse ho delle ovaie nascoste, perché “mi arriva” almeno una volta al mese. Scherzi a parte, mi ha toccato quando ero innamorato, ma anche in altri momenti, di solitudine. Salvo per fortuna maschile dall’ansia stringente del tempo, aspetto qualcuno con cui condividerlo».
Sposarsi vorrebbe?
«Non è nei miei piani».
Siciliano anomalo.
«Da che ho ricordi, mi sono sempre spinto oltre la mia provenienza e le sue tradizioni. Sin da piccolo, puntavo all’universo, entravo in connessione con le stelle, cercavo quel mistero là, quell’oltre oltre il tangibile. Mi sentivo come dotato di un super-potere. Sognavo di volare sul soffitto della mia camera. Guardavo giù e mi vedevo doppio, moltiplicato. All’inizio mi spaventava come un incubo. Poi ho letto Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello».
E l’ha rassicurata?
«Mi ha aperto la curiosità nei confronti del non essere mai una sola cosa ma chissà quante che ancora magari neanche sappiamo».
I suoi genitori che tipi sono?
«Papà affidabile, mamma folle, splendido esempio di due che hanno messo al mondo in me una combinazione di entrambi con un’insicurezza e una fragilità di fondo che si sono trasformate in spinta creativa. Da 46 anni, camminano mano nella mano».
Amandosi ancora?
«Sicuramente volendosi bene, che per me è superiore all’amore».
Il fascino – esercitato, subìto – che cos’è?
«Accorgersi di un mistero, come succede davanti al negativo di una fotografia: c’è qualcosa di non molto chiaro e raggiungibile che attira la tua attenzione, ferma la tua osservazione e suscita in te la voglia di scoprire il non visibile, il non decifrabile. Il fascino è intravedere qualcosa ma non nitido, e questo crea del desiderio in te».
S’interessa alla politica?
«Vorrei svegliarmi un mattino e potere sperimentare un governo tutto al femminile, per vedere che cosa potremmo diventare nelle mani di esseri senza limiti».
Che cosa potremmo diventare?
«Una società meno bulimica e più accogliente. Senza evasione fiscale, con l’Europa che si calma, i mercati che brillano, lo spread che miracolosamente si abbassa, la cultura al centro. Aprirebbero nuovi cinema, perché loro farebbero capire che vedere film in sala è un’esperienza, non è lo stesso che stare sul divano perché l’arte si sceglie, richiede un moto al luogo. L’arte è intenzione, voglia di andare in un posto che non mi appartiene, dove trovare un nuovo me e tornare diverso. Come quando si emigra e rientra».
Da Roma – a proposito – è risceso a Scicli per La stagione della caccia, tratto dall’opera di Andrea Camilleri. Lui sostiene che i siciliani siano «tragediatori», paghi cioè solo quando possono finalmente fondere insieme vita e scena.
«La natura del luogo in cui si nasce incide. I territori segnati da elementi imperanti come il sole, il mare, il vento, il vulcano segnano: t’infondono una teatralità da esprimere».
Quando ha capito che la intrigava anche?
«Consumavo i vhs, sempre degli stessi film. Sapevo a memoria Tempi moderni, Le ali della libertà. Mi rapì il carrello su Morgan Freeman, essere trattenuto nel suo sguardo dentro cui quella emozione diventava la mia».
Così, sono arrivati i provini, Baarìa, Vallanzasca, Ozpetek.
«E la mia prima regia teatrale, Morte di un commesso viaggiatore, racconto non a caso dell’uccisione psichica di un padre, atto simbolico in cui si compie il passaggio dallo stato filiale a quello genitoriale. Cercavo un’indipendenza scenica, esprimere Francesco pienamente, in un dialogo solo con sé».
L’arte è pure questo, ambire a risolversi?
«Provarci. Ricerca d’armonia tra le parti».
Un’assemblea di condominio, insomma.
«La sua convocazione».
«Faccio l’attore perché so stare in squadra. Faccio l’attore perché sono un individualista. Faccio l’attore perché amo le contraddizioni».
Francesco Scianna ci racconta (in esclusiva, in questo video) il mestiere che ha scelto, e le sue «mille facce». Proprio come Palermo, la città in cui è nato nella primavera del 1982.
Lavinia Farnese, Vanity Fair