MIMUN, CHE FOLLIA IL PRIMO TG5

MIMUN, CHE FOLLIA IL PRIMO TG5

Ma siamo stati audaci e utili, per Mediaset e per la Rai

CLEMENTE MIMUN DIRETTORE DEL TG5 NEL SUO UFFICIO

Esattamente 25 anni fa, il 13 gennaio 1992, andava in onda il primo numero del Tg5. Un’edizione travagliata per i problemi tecnici che avevano bloccato la messa in onda di molti servizi, come travagliata era stata per l’attuale direttore Clemente J. Mimun, ormai in sella da 10 anni, la scelta di lasciare la Rai per fare un salto nel buio con Mediaset.
L’audacia, però, riconosce oggi Mimun, ha premiato, insieme con una certa dose, come dire, di fortuna iniziale.
Domanda: Partiamo da principio: la chiamata per fare il Tg5.
Risposta: Ero caporedattore politico al Tg2. Enrico Mentana ha convocato me e Lamberto Sposini per proporci quella che doveva essere un’avventura bellissima. Ci ha spiegato che avremmo avuto la libertà di fare un nuovo telegiornale, che l’editore aveva fiducia in noi. La sfida era importante, avevamo l’obiettivo di scalfire una corazzata come il Tg1 con una piccola imbarcazione, come il gommone di Greenpeace che ferma le baleniere.
D. Niente dubbi?
R. Molti, da parte mia. In fondo si lasciava un posto statale ipersicuro per andare nel terreno inesplorato del privato. A quei tempi in Rai si manteneva persino il posto anche per i figli quando si andava in pensione. Io ero il solo ad avere dubbi, anche sulla città in cui avrei dovuto lavorare. Lamberto era convintissimo, che si facesse a Milano oppure a Roma. Io, con la complicità di Gianni Letta, riuscii a far passare che si facesse a Roma e a quel punto firmai.
D. Cosa vi disse il vostro nuovo editore?
R. Berlusconi ci diede la massima libertà, ci disse che l’editore era il pubblico, non il palazzo. Che dovevamo essere credibili per essere forti. Per questo il tg sarebbe andato in onda alle 20, nell’orario del massimo ascolto della corazzata, e alle 13 nel massimo ascolto della fascia meridiana. Non era semplicemente un’avventura, ma una pazzia, compresa la scelta di tre quarantenni.
D. Quando sono spariti i dubbi?
R. Io avevo e ho fiducia in Mentana e Sposini. Ma quando siamo partiti e abbiamo avuto tutte le disgrazie tecniche che si potevano avere ho pensato che sarebbe stato il primo e l’ultimo numero del Tg5. Mentana chiamava i servizi e non ne partiva uno. Come risultato la scaletta di quel tg non era demenziale, era una follia. Il giorno dopo, però, abbiamo saputo che avevamo battuto il Tg1. Sette milioni di spettatori. Ci aveva assistito il culo, lo stellone italico, e abbiamo preso entusiasmo.
D. Il culo quindi…
R. Sì sì, il culo aiuta gli audaci. Poi noi siamo stati audaci e utili. Due volte utili. Perché abbiamo contribuito nel proseguo a fare buona informazione su Mediaset, facendo la stessa cosa che faceva la Rai ma con la metà della metà dei giornalisti. Siamo stati poi utilissimi perché abbiamo rivoluzionato il linguaggio, cosa che ha portato anche la Rai a migliorare, con tg più semplici e meno burocratizzati.
D. Cosa la stimola, invece, della concorrenza attuale?
R. La concorrenza degli altri? Zero. Il vero concorrente oggi non è tanto un altro tg. Gli altri hanno più o meno pubblicità rispetto a noi, hanno più o meno traino. Ma noi siamo sempre primi nel target commerciale del pubblico. E abbiamo una quantità di pubblicità straordinaria, di cui siamo felici perché viviamo grazie alla pubblicità, mentre gli altri hanno anche il canone. L’avversario da battere è il web. Come si batte? Completezza, qualità dell’informazione, precisione. Sul web ci sono notizie non notizie. Oggi è una corsa a chi arriva prima, non importa cosa si racconti. Invece di inseguire lo scoop io preferisco arrivare secondo ma con un’informazione competente. Il web deve avere sempre libertà, ma è pieno di insidie.
D. Cosa vorrebbe fare sull’online?
R. Mediaset ha una parte web straordinaria. Ma siamo indietro sull’uso dei social. Abbiamo siti al top per visualizzazioni dei filmati, dobbiamo fare di più in altri ambiti. Se usi Periscope, per esempio, puoi fare un tg senza spendere una lira. Un tempo per fare un collegamento a due passi dalla redazione era come telefonare al 170 per Tel Aviv e Parigi. Oggi fai tutto in un attimo.
D. Nel ’94 tornò in Rai come direttore del Tg2, poi di altre due testate (Tg1 e Rai Parlamento). Cosa le mancava e cosa no del Tg5?
R. Del Tg5 mi mancava il sorriso e l’assenza di complotti, tradimenti. Inoltre là non avevo l’Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai, ndr), che più che un sindacato è un centro di potere. Penso che l’Usigrai debba intervenire nei casi di violazione del contratto, per tutelare i colleghi, dare loro più mezzi, anziché essere un centro di potere fra direttori e consiglio di amministrazione. Io comunque ho grande affetto e stima per lavoratori della Rai, che sono qualificati. Nelle redazioni però la politicizzazione ha toccato tutti. Anche me, sia chiaro, anche se io mi onoro di aver cominciato dalla gavetta
D. Vuol dire che c’erano più pressioni in Rai che in Mediaset?
R. Capisco le polemiche su Berlusconi. Ma le rotture che ho avuto con i governi di centrosinistra non le ho mai avute con nessun altro. E da molti anni non ricevo più telefonate da questo o quel politico. Mi occupo del prodotto, l’azienda è contenta del lavoro del tg, noi siamo pancia a terra e produciamo.
D. Chi l’ha fatta arrabbiare di più in questi anni?
R. Quando ero in Rai un ministro del centrodestra, potente e prepotente. Sono molto contento di averlo mandato a quel paese. Ero pronto a dimettermi, ma mi invitarono a evitare sciocchezze, l’azienda e la politica: non va via un professionista per colpa di un politico prepotente.
D. Chi era?
R. Niente nomi. Posso solo dire che per quanto riguarda i presidenti della Rai ho un pessimo ricordo di Zaccaria e Moratti. Mentre ho un ottimo ricordo di tutti direttori generali che si sono succeduti.
D. Com’è il rapporto con i redattori? È cambiato?
R. Una cosa è fare il direttore a 40 anni, una cosa a 63. Nonostante la mia cattiva fama, sono uno che si sveglia e pensa che ha una pagina bianca da riempire non a qualcuno da ostacolare. Non mi incazzo più nemmeno con la stampa, perché quando arrivano gli attacchi so che sono faziosi. Il rapporto con i colleghi in Rai all’inizio era teso, a causa dell’accoglienza che costringeva i direttori a camminare spalle al muro per evitare di essere pugnalati. Al Tg5 la redazione l’abbiamo scelta noi. Ci sono state incompresioni iniziali, non tutti sono sempre contenti ma qui il clima è formidabile, andiamo tutti nella stessa direzione, facendo il meglio. Ho un unico cruccio.
D. Quale?
R. Vedere migliaia di giovani che hanno le qualità per poterci provare e non possono. Io non preferisco chi ha tre lauree con 110 e lode che parla il mandarino a quelli che hanno smesso di studiare perché sono curiosi. D’altronde se uno può fare il ministro non essendo laureato, non vedo perché non possa fare il giornalista. E chiarisco: io non sono laureato.
D. Ha cominciato a lavorare a 17 anni…
R. Sì, perché avevo bisogno di lavorare. Detto questo spero che l’economia torni a crescere, che si riprenda a fare pubblicità, così si potranno rimettere in sesto gli assetti dei giornali e i giovani torneranno ad avere le loro chances.
D. Può prendere liberamente qualcosa dalla concorrenza: Rai, Sky, La7. Cosa prende per il Tg5?
R. Innanzitutto Mollica, perché è un fuoriclasse assoluto. L’ho tentato per tre volte, proponendogli di venire al Tg2, al Tg1 e al Tg5 come vicedirettore, ma è talmente innamorato del mestiere che fa che ha preferito rifiutare e continuare a farlo. Poi Enrico Lucci. Lo avevo chiamato quando ero al Tg2, ma ha preferito declinare l’invito. È stato alle Iene, poi a Rai Tre. Lucci era ed è ancora oggi un valore aggiunto. Per il resto mi piacerebbe ricostituire la squadra di un tempo con Enrico che è il miglior conduttore uomo che ci sia e nei confronti del quale nutro soltanto amicizia e riconoscenza.
D. I francesi di Vivendi hanno delle mire su Mediaset. Cosa pensa di quello che sta accadendo?
R. Mi richiamo al quinto emendamento. È una cosa che riguarda gli azionisti dell’azienda. Io posso solo dire che sono felicissimo della situazione in cui sto lavorando. Non sento francamente la necessità di trovare una situazione diversa.

Andrea Secchi, Italia Oggi

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