Pugni, pupe e wisky a fiumi. Mitra spianati, agguati sanguinari, tradimenti imperdonabili. E poi l’America tra la fine degli Anni Venti e l’inizio dei Trenta, con gli immigrati di diverse etnie che combattono per la supremazia criminale, l ’ombra razzista del Ku Klux Klan e il sogno di costruire un futuro libero dalla violenza. Con La legge della notte , tratto dal best-seller di David Lehane, Ben Affleck rende omaggio al cinema che ha fatto grande Hollywood, il gangster-movie che non muore mai, e che su quel modello ha prodotto cloni in tutte le cinematografie del mondo: «Volevo fare un film che facesse pensare alla grande tradizione dei kolossal, a opere grandiose come Il padrino e Quei bravi ragazzi, ad attori come James Cagney e Edward J. Robinson, ma anche al Dottor Zivago e a Red».
Un’impresa coraggiosa, che vede Affleck regista, attore, sceneggiatore e produttore (con Leonardo DiCaprio): «I film che oggi si fanno negli studios sono molto diversi, i blockbuster tendono a semplificare tutto, la mia invece è una lettera d’amore a una tradizione che molti considerano superata, per questo non è stato affatto facile realizzare il film».
Tra Boston e Tampa, e poi a Cuba, Joe (Affleck) vive l’avventura esistenziale di un criminale per forza di cose, un valoroso reduce di guerra che, tornato dal fronte, si ritrova al centro della battaglia tra mafia irlandese e italiana: «Del personaggio mi ha attratto il fatto che, pur andando contro la legge, conservi una moralità che lo fa sentire diverso dai gangster con cui è costretto a vedersela».
E poi ci sono gli Stati Uniti di quegli anni, per certi aspetti molto simili a quelli di oggi: «Era l’epoca in cui il Paese stava diventando quello che è, il fenomeno dell’immigrazione era talmente evidente che, nelle stesse famiglie di irlandesi o di italiani, succedeva che i padri parlassero in modo diverso dai figli. Noi americani veniamo fuori da quelle radici, una cosa che mi rende molto orgoglioso… non sono per nulla contento della piega che adesso stanno prendendo le cose».
Tradito dalla passione per Emma, legata al boss irlandese Albert White (Robert Glenistar), folgorato dalla parabola autodistruttiva della giovane Loretta (Elle Fanning) e salvato dall’amore per Graciela (Zoe Saldana), Joe lotta per affermare il suo potere, ma anche per liberarsi da un destino che non ha scelto: «Credo che il grande fascino esercitato dalle storie di gangster stia proprio in questo, permettono di esplorare i conflitti tra ambizione e principi morali, un tema che mi attrae fortemente».
Nel cast, Remo Girone
Tra le figure malavitose che animano il film c’è anche una presenza italiana, Remo Girone, nei panni del super-cattivo Maso Pescatore: «Volevo un interprete che non avesse familiarità con gli altri attori, che risultasse estraneo, insomma, un vero italiano. L’ho visto nelle Piovra e molto apprezzato».
Sulla Legge della notte (nei cinema il 23 febbraio con Warner) pesano le attese che sempre accompagnano le prove di chi ha appena vinto un Oscar: «Dopo Argo continuavano tutti a chiedermi del mio nuovo film, di quando sarebbe uscito e di che cosa avrebbe parlato. Sì, ho sentito addosso una gran pressione».
Essere regista non ha levato a Ben Affleck la voglia di recitare. Anzi, a chi gli chiede che cosa preferisca, risponde quasi risentito: «Vuol dire che dovrei scegliere? No, anche se recitare e dirigere nello stesso momento non è affatto semplice, fare l’attore resta il mio mestiere, quello che volevo fin da ragazzo». Tradizione di famiglia che potrebbe rinnovarsi tra poche settimane, con la candidatura all’Oscar del fratello di Affleck, Casey, star di Manchester by the Sea: «Siamo cresciuti insieme, e abbiamo anche amici in comune come Joaquim Phoenix, Casey è straordinario, e lo era anche nel mio primo film Gone Baby Gone».
Fulvia Caprare, Il Secolo XIX