WILL SMITH: “LA MIA RICETTA PER IL DOLORE: NON SCORDATEVI DI RIDERE”

WILL SMITH: “LA MIA RICETTA PER IL DOLORE: NON SCORDATEVI DI RIDERE”

Nel nuovo film ‘Collateral beauty’ affronta una grave perdita familiare. Nella vita ha superato la morte del padre grazie al buddismo e alla moglie: “Sapere che tutti mi riconoscono mi fa sentire al sicuro. Ci sarà sempre qualcuno ad aiutarmi”

will-smithDALLA locandina potrebbe sembrare una variazione dei film che ha girato con Gabriele Muccino, La ricerca della felicità e Sette anime: in Collateral beauty Will Smith è invece un pubblicitario devastato dalla perdita della figlia di sei anni in un incidente stradale. Crollato in una profonda depressione chiede lumi all’universo scrivendo lettere niente di meno che all’Amore, al Tempo e alla Morte. Per aiutarlo (e salvare la ditta) il suo partner (Edward Norton) e i colleghi (Kate Winslet e Michael Peña) assoldano tre attori disoccupati per recitare il ruolo di quelle tre astratte identità (Keira Knightley, Jacob Latimore e Helen Mirren) e consegnare a Will inaspettate risposte. Diretto da David Frankel e in uscita in Italia il 4 gennaio, sembra fatto su misura per portare Will Smith all’Oscar che gli è sempre sfuggito. “Amore, tempo, morte: tre cose che collegano ogni singolo essere umano su questa Terra”, spiega Smith. “Cerchiamo l’amore, desideriamo avere più tempo, temiamo la morte”. Per l’attore, 48 anni, Collateral beauty è “uno di quei film in cui vita e arte confluiscono magicamente. Non mi era mai capitato in maniera così intensa”.
Si spiega, Mr. Smith?
“Ci sono delle cose che affronta il mio personaggio che sono profondamente sincronizzate a quello che stavo vivendo nella mia vita con la malattia di mio padre. Ho sperimentato la bellezza collaterale che accompagna il dolore. Cresciamo come esseri umani attraverso la sofferenza. La morte di mio padre mi ha addolorato e illuminato”.
Non solo la morte, ma anche l’amore illumina?
“Certo. Con mia moglie Jada (Pinkett, ndr) sono un romantico irriducibile, ma la svenevolezza romantica non è amore. L’amore è quello che scopri quando sopravvivi insieme a qualcuno. Jada mi ha aiutato a sopravvivere: per questo la amo”.
A chi scriverebbe una lettera in un momento difficile?
“A mio figlio Jaden, forse. A chiunque stia ancora cercando l’amore, che lo ha sfiorato ma non lo ha ancora trovato. O scriverei una lettera a Martin Luther King, che aveva il potere di combattere le ingiustizie sociali. Lui per me è il vero supereroe, a lui aprirei il mio cuore”.
Come pensa alla morte?
“Quando mi preparavo per questo film a mio padre è stato diagnosticato il cancro che poi se lo sarebbe portato via. Affrontare la sua morte mi ha permesso di entrare in contatto col mio personaggio, quindi con me stesso. Una transizione magica. Papà è morto il 7 novembre, il giorno prima delle elezioni presidenziali, e il 6 novembre si era alzato dal letto per andare a votare anticipatamente. Almeno si è risparmiato quella sofferenza. Mi ha chiamato la notte stessa in cui è morto, ci siamo parlati su Face Time. Mi ha detto, “Will, credo che morirò stanotte”. Ci siamo guardati negli occhi, intensamente, per almeno venti minuti. Qualcuno dietro gli diceva: non vuoi dire niente a Will? E lui ha detto: “Qualsiasi cosa abbia detto finora a questo figlio di puttana, non è che lo capirà adesso!” (ride, ndr). È stato bello, ed è così che è finita tra me e lui. Con una risata”.
Il suo epitaffio quale sarebbe?
“”Non scordarti di ridere”. Quando arrivi alla fine, sarà tutto divertente. Inutile resistere e adombrarsi, credo”.
Nel film il suo personaggio, Howard, pedala come un matto per sfogare il dolore e tirarsi su. Lei fa lo stesso?
“Io corro. Adoro correre. Preferisco la monotonia del tapis roulant all’imprevedibilità della strada o di un sentiero in campagna, ma corro, sempre. Il sudore, il battito del cuore affannato, stare da solo con me stesso mi aiuta. Raggiungo uno stato di chiarezza mentale al chilometro otto. Lì entro in una sorta di trance”.
La religione è importante per lei?
“Non sono religioso nel senso “normale” della parola. Mia nonna era così devota che alla fine della sua vita era contenta di andare a incontrare Gesù. È a lei che mi sono sempre rivolto da giovane nei momenti difficili. Ora è mia moglie Jada la donna a cui mi rivolgo, una combinazione di bellezza, forza e sensibilità. Ultimamente ho scoperto il buddismo attraverso gli scritti dell’attivista buddista vietnamita Thich Nhat Hanh. Geniale. Come ha fatto un giovane monaco vietnamita cresciuto durante la guerra ad ottenere quel tipo di pace e serenità? È il mio modello, dai suoi insegnamenti traggo la guida spirituale per la mia vita”.
Crede che per gli afroamericani sia un momento importante nel cinema in America?
“Mi fa piacere che ora l’Academy abbia accolto un numero record di membri, tra cui molti di minoranze. Ma la situazione agli Oscar dello scorso anno è stata il primo tassello di un effetto domino che ha portato alla Brexit e a Trump. Oggi comunque noi neri al cinema siamo rappresentati meglio. Penso a Moonlight, Birth of a nation, Fences. Uno di questi vincerà di sicuro qualcosa”.
Un’ultima domanda: che rapporto ha con la fama?
“Mi dispiace per la mia famiglia che deve subirla, ma io adoro essere famoso! (ride). Mi piace non poter uscire in strada senza che qualcuno mi riconosca, invece di sentirmi in pericolo mi fa sentire più sicuro, ci sarà sempre qualcuno pronto ad aiutarmi. Se mi ritrovo senza benzina e senza portafoglio in una stazione di servizio, ci sarà sempre qualcuno felice di prestarmi 10 dollari. Di che dovrei lamentarmi?”.

Silvia Bizio, La Repubblica

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