Il 29 luglio 2023, durante il secondo giorno di requisitoria del Promotore di giustizia Alessandro Diddi, nel processo ribattezzato “Sloane Avenue” relativo all’acquisto di un palazzo ex Harrods nel cuore di Londra, è emerso che già da ottobre 2012 si stavano ponendo le basi affinché centinaia di milioni di euro amministrati dalla Segreteria di Stato vaticana fossero “spostati all’estero” e “protetti da controlli”. Enrico Crasso, l’alto dirigente del Credit Suisse, che aveva gestito i fondi della Terza Loggia dal 1999 al 2014, ricevette un incarico in tal senso il 25 ottobre 2012. All’epoca, il sostituto per gli Affari Generali era l’arcivescovo Angelo Becciu. Becciu intendeva investire i fondi della Segreteria di Stato nella Falcon Oil, una società petrolifera del finanziere africano Antonio Mosquito, che conosceva da quando aveva servito come nunzio in Angola e São Tomé e Príncipe per otto anni.
“Un’iniziativa speculativa”, così è stata definita da Diddi. Pochi mesi dopo, all’inizio del 2013, venne costituito il veicolo finanziario necessario per l’operazione, ovvero il fondo Athena che attirò l’attenzione mediatica delle cronache giudiziarie: una Sicav (Società di Investimento a Capitale Variabile) gestita dal finanziere Raffaele Mincione. Le date sono impressionanti poiché coincidono con la conclusione del pontificato di Benedetto e l’inizio di quello di Francesco. “Era un modo per proteggere i capitali da futuri controlli”, ha spiegato Diddi. “A gennaio 2013 il contenitore era già pronto”, ha aggiunto, “il 1° febbraio il funzionario della Sds Fabrizio Tirabassi aggiornò Becciu sulla situazione, indicando che era stato costituito il Fondo Athena, Athena capital fund; e sempre a febbraio 2013 cominciò a prospettarsi l’idea di investirci 200 milioni”.
Il 23 febbraio il consulente della Segreteria di Stato Enrico Crasso chiese di formalizzare la decisione. Mancavano cinque giorni alla fine del pontificato di Benedetto XVI. Una delle condizioni per il nuovo Papa imposte dalle congregazioni generali dei cardinali – e di cui si aveva conoscenza pubblica – era quella di riformare il sistema finanziario. L’elezione di Papa Francesco avvenne il 13 marzo 2013 con la solenne Messa di intronizzazione celebrata il 19 marzo successivo. Il 26 marzo una lettera di Tirabassi a Becciu lo aggiornava, sintetizzando che lui “decide e consiglia”. Il 22 maggio 2013 Tirabassi riassunse che una “riunione si era conclusa alle 13, e alle 15 ci si dava appuntamento dall’avvocato Tantalo, depositario dell’accordo tra Segreteria di Stato e il finanziere Raffaele Mincione, per la protezione e schermatura dei soldi e delle operazioni”.
A partire da maggio fino a luglio 2013 giunsero diverse e-mail mirate all’approvazione delle linee di credito necessarie per l’operazione, garantite dai fondi della Segreteria di Stato. Il 4 ottobre 2013, Papa Francesco si recò ad Assisi e in Curia si temeva un gesto simbolico di spoliazione delle ricchezze della Chiesa, seguendo l’esempio di San Francesco. Questo sentimento è stato documentato sui giornali dell’epoca. E proprio il 4 ottobre 2013 avvenne il primo trasferimento di fondi per l’operazione con Mincione: 50 milioni di dollari furono trasferiti al Credit Suisse e alla Banca della Svizzera italiana (chiusa pochi anni dopo dalle autorità svizzere per riciclaggio). A dicembre 2013 furono trasferiti ulteriori 30 milioni di euro.
Il 26 febbraio 2014 furono trasferiti ulteriori 20 milioni. “Perché?” si chiese Diddi nell’aula dei Musei Vaticani, messa a disposizione del dibattimento, di fronte al tribunale presieduto da Giuseppe Pignatone. “Insomma, vengono dirottate ingenti somme della Segreteria di Stato verso il fondo, mentre l’ipotizzato investimento nella Falcon Oil è ancora in alto mare.” E dell'”affare” del Palazzo di Londra non si era nemmeno cominciato a parlare. La domanda di Diddi, al momento, è rimasta senza risposta: perché questa gigantesca operazione finanziaria, apparentemente senza scopo? Perché i fondi devono essere spostati in Svizzera?
Prima della chiusura del processo di primo grado, a fine novembre 2023, durante l’84ª udienza, il promotore vaticano aggiunto Gianluca Perone, professore di diritto commerciale all’Università di Tor Vergata, ha chiarito che praticamente tutto – ha sottolineato tutto – il patrimonio della Segreteria di Stato è stato “bloccato” per garantire le operazioni finanziarie con Crasso e Mincione. Nello specifico, ha affermato Perone, 670 milioni su 700 sono stati investiti o dati in garanzia per le operazioni dei due fondi: il Fondo Gof (di Mincione) e Centurion (di Crasso). La Segreteria di Stato aveva persino investito 45 milioni nella società Time & Life di Mincione, titoli classificati dall’agenzia di rating Ficht come “spazzatura”.
Descrivendo “la singolarità degli investimenti nei Fondo Athena e Centurion”, Perone ha delineato un quadro eccezionalmente negativo e anomalo, vista la sua unicità (un investimento del genere “mai era avvenuto prima”, aveva ammesso anche Becciu in aula). Unicità per l’enormità delle risorse impiegate, per i veicoli finanziari anomali (visto che in quei fondi c’era un solo quotista, cioè solo un detentore di quote contrariamente a quanto avviene normalmente) e soprattutto mai era avvenuto prima che gli investimenti della Segreteria di Stato o di altri enti curiali fossero di tale entità.
Perone ha ricordato “la decisione di impegnare e concentrare un’elevata porzione delle riserve ufficiali disponibili della Segreteria di Stato in investimenti illiquidi, di lunga durata e a rischio molto elevato, cioè 200 milioni di dollari nei Fondi Athena e 70 milioni di euro nel Fondo Centurion. Insomma, investimenti di 270 milioni in due hedge fund altamente speculativi e completamente illiquidi (definiti esplicitamente in ogni atto e documento sottoscritto dalle parti, quindi anche dalla Segreteria di Stato, e da soggetti terzi)”, che non si potevano “smobilitare”, vendere e riottenere.
Ancora peggio fu che per effetto dei crediti Lombard sottoscritti per completare le operazioni, circa 670 milioni furono dati in pegno, per una durata superiore a sette anni, con un patrimonio della Segreteria di Stato che allora ammontava a poco più di 700 milioni di euro. Così avvenne che praticamente tutto il patrimonio della Segreteria di Stato era stato “bloccato” a favore di Crasso e Mincione.
“Si è altresì dimostrato”, ha spiegato Perone, “che tali scelte per l’importo dei capitali investiti, per le peculiarità delle forme giuridiche utilizzate, per la tipologia e concentrazione dei rischi assunti si pongono in chiara discontinuità con la prassi precedente, proponendo di fare della Segreteria di Stato, come ammesso in sede di dibattimento dagli stessi protagonisti, un investitore altamente speculativo – verrebbe da dire l’unica merchant bank che non parlava inglese – e non il gestore, attento e oculato, delle riserve sovrane e dei fondi di riserva dello Stato vaticano, quale avrebbe dovuto essere.”
La vicenda del Palazzo di Londra ha avuto una storia molto lunga.Dal 2012 al 2019, l’anno in cui la Segreteria di Stato riuscì a riappropriarsi del Palazzo pagando – secondo il Tribunale vaticano – a seguito di un’estorsione, 15 milioni al broker Gianluigi Torzi, che lavorava con Mincione. All’interno di questa vicenda, spiegava il Promotore di giustizia Diddi, c’è una data che segna una svolta cruciale: il 7 agosto 2013.
Questa, può essere associata al “credito lombard”, definito da Diddi “la cosa più scandalosa di tutte”, che qualifica le operazioni effettuate allora dalla Segreteria di Stato come estremamente rischiose e distruttive per i beni della Chiesa. Erano distanti anni luce dallo spirito e dalla lettera della costituzione apostolica Pastor Bonus che regolamentava a quei tempi la Curia e che ricevette un’interpretazione autentica dallo stesso Giovanni Paolo II.
In pratica, la Segreteria di Stato, “sotto la guida del sostituto Angelo Becciu“, contrasse un mutuo offrendo in garanzia il tesoro della Terza Loggia – centinaia di milioni di euro – costituiti da donazioni come l’Obolo di San Pietro versato annualmente il 29 giugno dai fedeli per la carità del Papa, e dalla “cedola” che ogni anno lo IOR “stacca” al Santo Padre (in sedici anni, l’avvocato dello IOR al processo ha quantificato una cifra di circa 700 milioni).
Ripagare quel mutuo creò un “disavanzo strutturale”, distruggendo il capitale a causa della divergenza tra rendimenti e interessi da pagare. Era stato concepito inizialmente per acquisire pozzi petroliferi in Angola e, una volta sfumata l’idea di affari con Mosquito, fu reindirizzato sull’operazione di acquisto del Palazzo di Sloane Avenue. O meglio, per essere precisi, su quote del fondo di Mincione, che era il proprietario di quel palazzo.