STEFANO DISEGNI: “È FINITA LA DITTATURA DI ‘ZELIG’”

STEFANO DISEGNI: “È FINITA LA DITTATURA DI ‘ZELIG’”

zelig

(da TvZoom, ampoule  Il Fatto Quotidiano, pagina 19, di Stefano Disegni) L’umorista, sulle pagine de “Il Fatto Quotidiano”, scrive un articolo ironico sul mancato rinnovo del programma comico su Canale 5. Su “Il Tempo” si prefigura uno scenario con la quotazione della società che rileva i dati d’ascolto tv.

Tre minuti riso compreso. È finita la dittatura Zelig

Termina un’era: complice il calo negli ascolti, la trasmissione televisiva che ha dominato il palinsesto per 18 anni da settembre non andrà più in onda.

È finita davvero. Con l’abbattimento giù dalle facciate del testone pelato di Claudio Bisio, in corso ovunque mentre scriviamo, per mano di esponenti delle BCLC (Brigate Combattenti per la Libera Comicità), termina la feroce dittatura che per diciotto lunghi anni ha imposto nel nostro Paese la plumbea comicità monocratica a base di tormentoni e una-battuta-ogni-sei-parole, guai ai sovversivi che pretendevano di elaborare stili non graditi al Regime o tentare un cazzo di monologo che durasse più di tre minuti compresi gli applausi: immediatamente confinati lontano dalla ribalta televisiva, finivano a fare gli spiritosi con le pecore, senza più nessuno che li contattasse, neanche per un addio al celibato.

È festa nelle strade, gruppi vocianti di spiritosi corrono per le vie cittadine improvvisando scenette spontanee in cui nessuno è vestito da imbecille, né si ride per battutacce cagate per forza che poi la gente deve applaudire perché in favore di camera; dalle finestre, dai portoni, si applaude, si gettano fiori e si srotolano striscioni con su scritto “Ci eravamo veramente rotti i coglioni”. C’è chi piange, come F.C., barista, che, asciugandosi gli occhi, racconta storie terribili “Me li ricordo. Due fratelli, uno grosso pelato, l’altro piccolo col nasone. Due sagome. Venivano qua, tra un caffè e uno spritz sparavano cazzate col botto, gli avventori si scompisciavano. La fama si diffuse, ero contento, mi era raddoppiata la clientela. Ma ero preoccupato; glielo dissi, ai ragazzi, di non fare battute in pubblico. Non mi ascoltarono, incoscienza giovanile. I tirapiedi di Zelig si presentarono quando c’era poca gente. Li misero spalle al muro, gli sibilarono in faccia che in Italia nessuno osava fare il comico senza passare per Zelig, Zelig Off, la Scuola Zelig, la segreteria di Giancarlo Bozzo, l’Editore Kowalski e le piazze decise da Zelig. Nessuno poteva dire battute senza l’autorizzazione di Gino e Michele. Gli marchiarono una zeta e un numero su un braccio e se li portarono via. Seppi che fecero due anni di Zelig Off a gratis, rifiutando qualsiasi altra proposta per paura di rappresaglie”.

Già, rappresaglie. Come tristemente accade in questi frangenti, gruppi di comici liberati vanno a cercare casa per casa i sostenitori della ormai decaduta comicità di Regime e le scene sono dure. Messi al muro dalla folla che grida “Mo’ facce ride!” i malcapitati tentano di discolparsi dicendo che la sera in tv non c’era altro, esibiscono dvd dei Monty Python, sventolano libri di Allen, addirittura tentano monologhi senza mai dire “Frango, oh, Frango!” che finiscono per tradirli, data l’inusualità, e giù gatti morti in faccia. Termina così un lungo periodo della nostra storia, con i suoi lati dolorosi, ma anche folkloristici. Non accadrà più che in qualche Sagra della Fava Romanesca arrivi un disgraziato marchiato Zelig, che in vita sua ha messo insieme solo tre minuti di battute compresi gli applausi e una volta sul palco gli tocca scappare sennò lo menano dopo un quarto d’ora e dopo aver intascato il cachet della Pro Loco, ma in tv sembrava tanto bravo… E tremano, mentre fischia il vento di nuova libertà umoristica, gli epigoni, pure peggio, del Regime. Serrano le porte Colorado e Made in Sud, aspettando che passi la bufera. Per dirla con Trotski, sarà la rivoluzione permanente?

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