Primo monologo dello scrittore sui social: “Vivo online, il livello di scontro è spaventoso”
Mentre si consuma il divorzio di Morgan da Amici, nella puntata di sabato in cui scoppia la crisi, Roberto Saviano torna nel programma di Canale 5. Il cuore del suo intervento è la violenza sul web, il bullismo: chiede ai ragazzi di riflettere quando insultano senza pensarci su, “perché le ferite restano”. Porta la poesia di Anna Achmatova Ho smesso di sorridere per spiegare come ci siano persone che hanno pagato per le parole.
Saviano, è tornato ad ‘Amici’. Come mai?
“Per misurarmi con un pubblico molto giovane che non è facile intercettare in tv e che intercetto sul web. E poi perché da Maria De Filippi sono libero: dalla storia della ballerina della Sierra Leone all’invito a leggere Le notti bianche di Dostoevskij, diventato best seller, mi piace sfidare il luogo comune che quel pubblico lì non lo puoi interessare. Farò anche altre puntate”.
Nel monologo affronta il problema dei bulli sui social.
“Sono online tutti i giorni avendo una comunità – quasi due e milioni e mezzo su Facebook uno e mezzo su Twitter – e mi accorgo che il livello di scontro sui social è spaventoso. È una violenza che non si userebbe mai di persona perché nasce da un presupposto. Siccome si può cancellare tutto, anche la tua morale diventa on line, non va mai off line, non senti di essere responsabile. Pensi: ‘Se ho esagerato lo cancello’, ma non si cancellano l’offesa ricevuta e il dolore inflitto. C’è un pensiero della tradizione ebraica che dice: ‘Quando la parola non l’hai pronunciata sei tu a comandarla, ma una volta che l’hai pronunciata è lei che comanda te'”.
Perché si ricorre alla violenza sul web?
“Perché il messaggio arriva subito, la viralità non prevede ragionamento, per il ragionamento ci vuole tempo. La viralità di insulti e cattiverie è terrificante, ha un impatto immediato e peggiora il dibattito su temi politici o sociali. Non c’è più la misura del vero o del falso, si dice: ‘Funziona’ o ‘Non funziona'”.
Perché entrano in gioco gli haters.
“I social si nutrono degli haters, sono quelli che fanno più traffico. Io stesso quando non ho la loro reazione, penso: allora questo post non funziona”.
Scusi ma è un controsenso.
“Gli haters sono come la merda, concimano. Quando c’è un hater lo uso come concime, devi sfruttare la sua violenza a tua favore”.
Se hai tredici anni è complicato, ti senti sconfitto e basta.
“Sapete quanti commenti vengono postati su Facebook ogni minuto? Oltre mezzo milione. O le scuole si dotano di educazione social o è la fine. Le famiglie bloccano l’accesso a internet ai figli, invece servirebbero le password condivise, non vietare Whatsapp. Anche un tredicenne della mia generazione soffriva per gli insulti. Oggi esiste il bullismo online, ma i bulli ci sono sempre stati. Sul web si moltiplicano le possibilità perché sei al riparo dietro un pc e un nome falso”.
L’hanno offesa spesso. Si è difeso con la stessa moneta?
“Mai. Anche nei momenti in cui avrei voluto, perché perdi autorevolezza. Lo fanno i guitti per il gettone televisivo. Anche davanti alle più grandi menzogne ho sempre cercato di non rispondere online. Ricordo un politico campano, le volgarità dette in Parlamento… Uno squallido sfruttatore che per il solo fatto di insultare ha un seguito. A uno così non rispondo, non gli farò mai questo regalo. C’è un detto napoletano: ‘Se ti sputo ti profumo’. Vale sempre”.
Come si impara il valore delle parole?
“Guardando chi ha pagato per ciò che ha scritto. Quando capisci quale sia stato il prezzo per pronunciare parole libere, capisci il valore da dare alle parole. Si può partire da lontano. Per chi crede, dai Vangeli. Io penso a due donne: Anna Politkovskaja e a Anna Achmatova, che non è un poetessa politica, non ha mai fatto battaglie civili. La sua è poesia pura, scrive di amori delusi”.
Un ragazzino che passa le ore sul web come arriva a capirlo?
“Il web è un’opportunità di condivisione incredibile, è come un moltiplicatore del diritto di sapere, però per star dietro alla velocità dei social, dei like, agiamo d’istinto come se una parola scritta in rete non avesse peso. Non è così. I professori hanno un ruolo, contano la lettura e l’approfondimento. Non è possibile conoscere e relazionarsi solo con indicazioni a fare cose: ‘clicca qui’, ‘guarda qua’, ‘mi piace’, ‘condividi’. Anche della bellissima parola ‘condivisione’ abbiamo perso il senso iniziale. Condividere vuol dire: dimmi cosa pensi, dovrebbe essere uno scambio. Leggere insegna a parlare, e parlare bene insegna a vivere bene”.
Lo diceva già Nanni Moretti.
“Aggiungerei che leggere le poesie insegna ad amare, aiuta a raggiungere l’empatia. Oggi se non sei cinico e caustico sembri un ingenuo, un buonista. È terrificante. Tutto ciò che è corretto sembra visto come perdente, molle. Critichi e l’insulto ti rende autentico. Se sei rispettoso sembri ipocrita: se sei sempre sarcastico, sembrerai vincente”.
Guarda caso, un metodo molto usato in politica.
“Trump ha puntato tutto su questo. Salvini, poi, è un maestro: un pezzo importante della politica populista italiana e americana per attirare simpatia usa un linguaggio violento”.
Pensa che i ragazzi abbiano capito i versi di Achmatova?
“Sì. Hanno capito l’amore reale, che significa anche sofferenza, gelosia, abbandono, tradimento, rifiuto. I versi dicono: impara ad amare, imparerai a vivere. Nella poesia Il canto dell’ultimo incontro, per descrivere una coppia che non funziona più, Achmatova usa un verso: ‘Infilai nella mano destra il guanto della sinistra’. Il guanto sbagliato”.
Silvia Fumarola, La Repubblica