Inchiesta sui fenomeni giovanili con le caratteristiche del documentario
Chiara Ferragni è la più nota. Chiacchierata anche fuori dal mondo dei social. Influencer (di professione), si dice. Ma cosa sia e cosa faccia un influencer ben poco si sa, soprattutto se si è nati nel secolo scorso. Professione del futuro, si dice. Ma anche: modaioli, vacui, anello di collegamento tra i marchi che li strapagano e lo sterminato pubblico dei millennial, buoni solo per fare selfie e infilarsi a sbafo a party e sfilate. Pregiudizi? Disinformazione? Comunque sia, un fenomeno sociale che muove milioni di euro e di “seguaci”. Grande e variegata è la galassia degli influencer. Vale la pena di una riflessione.Alberto D’Onofrio, che in passato ha raccontato su Rai2 il «party people” delle discoteche italiane e di Ibiza, torna a parlare dei ragazzi di oggi: dopo «Giovani e ….» e «Giovani e ricchi», è la volta di «Giovani e influencer», in onda da, oggi, 12 febbraio (ore 23.30) per quattro martedì sulla seconda rete Rai, in una serata molto “young”, che parte in prime time con la terza stagione de «Il collegio».«Inchiesta sui fenomeni giovanili con le caratteristiche del documentario», definisce il proprio lavoro D’Onofrio. «Volevo raccontare le cento facce di questo mondo: ho scelto storie più complicate e complesse e persone che disposte ad aprirsi e a raccontarsi. Le ho dovute convincere, certo, ma una volta che questo è accaduto, si è stabilito un rapporto empatico e di fiducia».Ed empatia e fiducia è quanto anche loro dicono essere alla base del rapporto che stringono con i propri follower: non sono solo il tramite con un mondo fatto di apparenza e oggetti, falsi miti e superficialità, ma (anche) persone che si mettono a nudo. Perché: «Senza non puoi durare nel tempo». Pragmatismo e (un vago) cinismo. Per questo alcuni sempre via social vengono attaccati.Più di venti gli influencer che hanno accettato di raccontarsi a «Giovani e influencer». In tutto sommano qualcosa come oltre 12 milioni di follower. Casi italiani e personalità che hanno sconfinato oltre frontiera. Diverse le loro “specializzazioni”, i settori in cui sono diventati famosi. Spesso complesse e intriganti, tristi e coraggiose le loro storie personali.Certo, il blocco prevalente è quello di chi si occupa di fashion & life style, ma c’è anche chi si occupa di yoga e sport, chi ha una forte vena comico-satirica, chi dispensa consigli sul make up e chi parla di cibo. Ci sono le teenager, le minorenni: ancora controllate a vista da mamma e papà; e chi ormai grande ha aperto una propria attività imprenditoriale. Ci sono i genitori: le perplessità, la mediazione e il sostegno offerto ai figli nell’affrontare il mondo dei social. Chi si appoggia alla fama social per intraprendere un’attività imprenditoriale e chi per diffondere un proprio messaggio.Valentina Vignali combatte con un tumore alla tiroide e anche questo racconta nelle sue “stories”; Silvia Fascians per anni ha sofferto di anoressia e ora, influencer di fitness, racconta come fosse terribile la sua vita e come lo sport l’abbia guarita. Nina Rima, sopravvissuta a un incidente di moto in cui ha perso una gamba, dà consigli di life style ma racconta anche il proprio handicap; Alberto Naska parla della sua grande passione, velocità e motori, ma promuove anche una personale battaglia contro il bullismo, di cui è stato vittima da bambino. C’è il chirurgo estetico Giacomo Urtis che fa di se stesso il veicolo promozionale del proprio lavoro; e Gordon (nome d’arte), che si presenta indossando una vistosa parrucca bionda da donna, che «racconta l’universo femminile meglio delle stesse donne» (e comunque ha avuto qualche difficoltà a convincere mammà di non essere gay). C’è Maria Vittoria Baravelli, 24 anni, università di Lettere in stand by, curatrice di mostre fotografiche, che prova a sdoganare tra i giovanissimi la bellezza di un quadro di Picasso, la conoscenza di Carrà o perché andare a vedere una certa mostra. Ti parla con competenza e passione di arte e letteratura, storia e social. E allora pensi che, sì, questi influencer non sono proprio (tutti) il demonio.
Adriana Marmiroli, lastampa.it