Al Festival canta Ora mai, ovvero di quando arriva il silenzio in una relazione. La sua – con Elodie Patrizi, in gara nei Campioni – invece dura, perché segue «una regola di coerenza». Grazie alla quale «ogni sera vado a letto felicissimo»
Questa edizione è lui il più giovane a salire sul «palco stregato» del Teatro Ariston. Lele Esposito, 20 anni, al Festival di Sanremo ha però un testo «da grandi». Ora Mai, s’intitola, «un ragionamento autobiografico sul costrutto dell’espressione, che è sostanzialmente una negazione», ci racconta all’Hotel Globo in un napoletano pulito. «È la storia autobiografica e universale del punto in cui in una relazione arriva il silenzio, quando irrompe la consapevolezza che è inevitabile che quella storia finisca. A volte stiamo insieme in maniera reiterata, senza un senso vero, come un’abitudine. Cerchiamo di trovare soluzioni al troppo che abbiamo detto, al poco che abbiamo ricevuto».
Le è successo?
«In passato sì».
Oggi la sua scelta è Elodie, conosciuta ad Amici, con cui è fidanzato.
«E rispetto il sentimento condiviso di proteggerci. Se vogliamo fare questo percorso artistico la nostra vita privata deve rimanere fuori, non può contaminare o essere contaminata».
È tentativo comprensibile ma difficile: ora per esempio lei gareggia qui tra i Campioni.
«Se ci credi in questo amore, e vuoi bene a quella persona, è giusto che tu abbia questo senso di tutela». Elodie ha sei anni più di lei.
«Non ragiono in base all’età, non mi piace. È il modo di vivere che fa la differenza».
Qual è il suo?
«Non sono un superficiale. Superficiale è chi passa il tempo non domandandosi, non rispondendosi. Chi abita la sfera del non volerlo sapere. Essere frivoli, non leggeri. Che è un peccato».
Appartiene alla generazione che è solita dirsi che «non progetta perché non può». Eppure il suo disco si intitola Costruire 2.0, in uscita il 10 febbraio.
«Sono figlio di una classica famiglia del sud che ha fatto sacrifici. Mio papà, poliziotto, e mia mamma, casalinga, mi hanno insegnato che dal cielo non piove nulla, che ogni cosa va creata giorno dopo giorno, se vuoi che duri, perché ad andare veloci le fondamenta non possono essere solide, crollano facili».
Avere lì Maria De Filippi la rassicura?
«Potresti avere lì anche tua madre a presentare, ti tremerebbero comunque le gambe».
Quando ha capito che sarebbe diventato un cantante? «Mio papa quando stavo ancora dentro mia mamma metteva le cuffie con la musica attorno al pancione. Mi calmava. Nei primi anni avevo una predisposizione al ritmo, così m’iscrissero a propedeutica musicale. Lì ho imparato la disciplina, a stare in gruppo, differenziare i suoni. Le mie ninne nanne sono state Tenco, Guccini, Dalla. Quando avevo paura, partiva La leva calcistica della classe ’68. La mia canzone esistenziale è ancora di Francesco De Gregori: Sempre e per sempre».
«Dalla stessa parte mi troverai». Lei cade mai in tentazione?
«No. Io sono un coerente. Credo molto alle parole. Se ti dico “Ti amo”, è perché ci credo. Penso sia giusto essere così. Per questo quando vado a letto la sera sono felicissimo»
Che cosa sogna?
«Non siamo nati per restare soli. Quindi magari di finire come i miei nonni, insieme da 50 anni, o i miei genitori, insieme da 20. Amo l’idea di casa, che si chiuda la porta e lì dentro va meglio, pure se fuori non è così bello».
Figli?
«C’è forse qualcosa di più potente del dare una fisicità all’amore? Un bambino è quello».
Vanity Fair, Lavinia Farnese