I Simpson hanno già previsto tutto: durante i suoi 32 anni di vita, la famiglia ideata da Matt Groening ha più volte azzeccato il futuro, tanto da costruirsi una certa reputazione in merito. Correva l’anno 1999: Mel Gibson, aiutato da Homer, parte all’assalto del Congresso riunito. Armato di un fucile semiautomatico, distrugge tutto e semina il panico a Capitol Hill. Durante l’attacco, presidente e speaker rimangono uccisi mentre un senatore viene assassinato dallo stesso Gibson (che lo infilza alla schiena con una bandiera a stelle e strisce). L’intero Campidoglio viene infine distrutto dalle fiamme. Per fortuna, nella realtà, le cose sono andate un po’ meglio.
Dalla performance di Lady Gaga al Super Bowl (preannunciata ben otto anni prima) alla diffusione della pandemia d’Ebola (il virus non si sarebbe diffuso fino al 2014, 17 anni dopo la messa in onda della puntata «Il sassofono di Lisa»), le anticipazioni di Matt Groening continuano a destare stupore. In una puntata del 2000, Bart legge il futuro. Lisa, sua sorella, diventerà presidente degli Stati Uniti. Prenderà il posto di, guarda caso Donald Trump. Circa 16 anni dopo, Trump viene eletto presidente. I Simpson sono come la Bibbia, che aveva previsto tutto? Nella Bibbia c’è il futuro: dal primo uomo sulla Luna alla depressione economica del 1929, dalla rivoluzione americana a quella russa, dalle due guerre mondiali allo sterminio per mano di Hitler e ancora dall’omicidio di John Kennedy all’elezione di George Bush. Così la pensano i non pochi predicatori americani che nei loro sermoni televisivi sostengono che il Pentateuco svelava il futuro già migliaia di anni fa. Circolano video in cui ci sono i nomi e le date di personaggi famosi, già prefigurati nel testo sacro. La Bibbia avrebbe previsto anche gli Ufo.
Una cosa è certa: i Simpson sono la nostra bibbia-pop. Dietro il paravento del cartone animato (prodotto rivolto in prevalenza ai più piccoli), i Simpson mettono in scena un ritratto intelligente e spietato della nostra società. La famiglia (Homer, Marge, Bart, Lisa e Maggie) è investita dalla politica, dal lavoro, dai rapporti di coppia, dal potere delle grandi industrie, dai media, dalla quotidianità. Ma anche tutti gli altri abitanti di Springfield sono tratteggiati con acume e profondità, tanto da costituire, nella loro complessità, uno specchio ustorio della nostra società, puntellato da osservazioni e battute memorabili. Qualcuno sostiene che, dopo le prime otto stagioni, è cominciata a farsi strada una certa stanchezza e che Homer, il profeta dell’inadeguatezza, si trascina ormai pigramente. Può darsi, tuttavia i Simpson restano fra le cose più intelligenti mai trasmesse dalla televisione (e l’inadeguatezza, intanto, ha preso il potere, almeno da noi).
Come fanno a predire il futuro? Come possono scoprire il bosone di Higgs? Nella decima stagione, Lisa invita il padre a inventare qualcosa seguendo le orme di Thomas Edison. Mentre Homer scarabocchia sulla lavagna, riesce a scrivere una complicata equazione che nel 2013 il Cern scoprirà essere quasi identica a quella del bosone di Higgs. O come hanno potuto prevedere che un giorno qualcuno avrebbe chiesto di coprire le nudità del David di Michelangelo? Preveggenza, fortuna, gioco combinatorio? Come tutti gli appassionati dei Simpson sanno, il primo episodio della serie animata «Roasting on an Open Fire» (Un Natale da cani) è stato trasmesso il 17 dicembre 1989. Con un crescendo di successo nel corso degli anni, i Simpson sono diventati la più importante sitcom della tv americana, riflesso e parodia della società occidentale. Creata da Matt Groening, con i produttori James L. Brooks e Sam Simon, la famiglia più famosa di Springfield si è trasformata in un vero e proprio fenomeno mediatico globale, inconfondibile per la sua irriverenza.
Ma i Simpson sono stati e continuano a essere uno dei più grandi esempi di cultura pop. Più che proporsi come specchio deformante della realtà – dove mettere alla berlina la contraffazione sociale, lo sfascio ambientale, la menzogna politica – rappresentano un geniale gioco linguistico che usa, svela, distrugge tutti gli stereotipi attraverso cui i media raccontano il mondo. I Simpson creano un loro universo coerente e complesso, e allo stesso tempo citano la tv, il cinema, la letteratura e perfino se stessi. I frammenti s’incastrano gli uni negli gli altri e si rimandano all’infinito, illuminando di altri significati la vicenda raccontata. Ogni puntata è una riflessione non solo sulla tv ma sul proprio modo di fare tv. Difficile trovare una serie che abbia un grado così elevato di autocoscienza. Se cultura pop significa anche dare dignità estetica alla rappresentazione del banale e del quotidiano o servirsi di immagini e di oggetti già esistenti che, manipolati e presentati in vario modo, si caricano di una nuova espressività, ebbene i Simpson hanno svolto un lavoro linguistico di rara complessità. Hanno trasformato l’ibridazione tecnologica (la famosa convergenza dei media) in fiction; hanno convertito la citazione in appropriazione indebita sviando i significati (come suggerivano i situazionisti); hanno infine usato il metalinguaggio in funzione autoironica, togliendo alla parola cultura ogni boria, ogni pretesa, ogni bardatura elitaria o ideologica.
È come se la cittadina di Springfield (ne esistono migliaia nel mondo) fosse davvero il centro dell’universo, l’ombelico del mondo mediale, il luogo dove tutto viene contaminato, dove l’universo è ridotto alle articolazioni di un cartoon, dove nulla è più ciò che dichiara di essere. Le profezie dei Simpson non sono altro che il frutto di questa grandiosa, intelligente ars combinatoria. Come aveva previsto Jorge Luis Borges: «la Biblioteca è totale, e […] i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò ch’è dato di esprimere, in tutte le lingue».
Aldo Grasso, Corriere.it