È come se la nostra Monica Maggioni, insoddisfatta dei risultati di Rai 1, cacciasse con una letterina di poche righe e neanche un grazie, il direttore di rete, Andrea Fabiano (che, invece, sta facendo benissimo, ha superato più volte Canale 5 con le serate a tema come quelle dedicate a Mogol e a Bolle, e quindi è più saldo che mai).
Accade, invece, a France2, la rete ammiraglia di France Télévisions, la Rai francese, che, nel mese di settembre, ha segnato uno share complessivo del 12,5%, «le pire de toute son histoire», il peggiore della sua storia, e rischia perfino di farsi superare da M6, la rete privata controllata dal gruppo editoriale tedesco Bertelsmann, arrivata quasi all’11%, mentre France3 arranca attorno all’8,9%.
Risultati inaccettabili, a poco più di due mesi dal lancio di FranceInfo: il canale all news (l’equivalente della nostra RaiNews24) e alla vigilia di una stagione politico-mediatica – le primarie a novembre, le presidenziali a maggio 2017 – che dovrebbe, al contrario, vedere «le vaisseau amiral», l’ammiraglia dell’emittenza pubblica, al primo posto nell’offerta informativa e di intrattenimento.
La presidente Delphine Ernotte, arrivata un anno fa con il commitment hollandiano di ridare smalto e autorevolezza alla tv di stato, in perdita di audience e di quattrini, non ci ha pensato due volte: forte dei suoi poteri di capo-azienda (gli stessi del nostro Campo Dall’Orto), ha preso carta e penna e ha licenziato in tronco, il capo della rete, Vincent Meslet, senza neanche una parola di ringraziamento.
Solo uno stringatissimo comunicato diffuso venerdì 7 ottobre per dire che «d’un commun accord, Delphine Ernotte et Vincent Meslet mettent fin à leur collaboration en raison de divergences sur la strategie», separazione concordata per divergenze sulle strategie della rete.
Anche da Delphine Ernotte alla quale, però, Meslet preferì allora la rivale (sconfitta) Nathalie Collin, sostenuta dalle Poste, l’altro grande azionista pubblico di France Télé.
Ma è solo per vendicarsi del suo mancato appoggio che la Ernotte ha «limogé», come si dice qui, ha silurato un manager del peso e del valore di Meslet per sostituirlo con la sua fedelissima Caroline Got, la superdirettrice del marketing, che si è scontrata più volte con il direttore di France2 nel tentativo di imporgli programmi più popolari, più accondiscendenti con i gusti del grande pubblico della prima serata?
Certamente Meslet, che ha lavorato anche in una tv di qualità come Arté, ha «une idée de la très haute importance du service public», come ha scritto Télérama, il magazine televisivo del settimanale L’Obs, ha una concezione fin troppo alta del servizio pubblico, e non esita a «parier sur l’intelligence du public souvent sous-estimée par le gens du marketing», continua ad avere grande fiducia sull’intelligenza del pubblico che, invece, è sottostimata dagli esperti del marketing televisivo. Anche quando questa fiducia viene tradita dalle audience e dai risultati di mercato. Come è avvenuto, dati alla mano, nel suo ultimo periodo a France2.
Ma c’è anche un’altra «lettura» del licenziamento del direttore della rete ammiraglia di France Télé. Ed è una lettura tutta politica, legata alla scelta di uno dei programmi più seguiti della rete, L’Emission Politique, una specie di Porta a Porta, di raccontare senza troppe diplomazie l’affaire Bygmalion, una brutta storia di tangenti e fondi neri in cui risulterebbe implicato l’ex presidente (e candidato alle primarie della destra) Nicolas Sarkozy, presente in studio. Sarkozy, il giorno dopo, ha denunciato «l’arrogance» dei giornalisti di France2 (Léa Salamé, David Pujadas e Karim Rissouli) e il suo portavoce, Roger Karoutchi, è arrivato al punto di dire che «il y a un probleme par rapport au service public», che c’è un problema con il servizio pubblico.
Forse è troppo sostenere che il capo di France2 ha pagato pegno per quella trasmissione troppo irriverente con uno dei candidati più forti alla presidenza della Repubblica. Ma che nelle tv di stato ci sia una sensibilità particolare a capire come cambia il vento della politica, questo è certamente vero. A Parigi come a Roma.
Italia Oggi