Il rapper in tour nei palazzetti. «Lo show racconta il Paese. Si era mai visto un figlio di immigrati qui?»
«Ho saltato lo step in mezzo». Ghali ha bruciato le tappe. In due anni il rapper è passato da sconosciuto a recordman di Spotify, dai concerti nelle discoteche a un tour nei palazzetti che partirà il 18 ottobre da Mantova. Nessun rapper (Fedez si autoesclude dalla categoria) ha mai fatto una serie di concerti con questi numeri, ma anche nel pop sono pochi quelli che se li possono permettere. «È un sogno che si realizza, la storia di un ragazzo che passa dai palazzi ai palazzetti» sorride. L’idea alla base di queste due ore di show Ghali la sintetizza con due parole «urban fantasy». «Urban perché c’è la strada, anzi il boulevard che rende elegante il concetto di strada che diventa ricca. Fantasy invece come il mondo delle mie canzoni con cartoni, sogni, personaggi fantastici». Salvini ha punzecchiato lui (e anche Nina Zilli e Gemitaiz) durante un comizio. «”Ti ha attaccato Ghali” mi hanno detto. E chi è?». «Parlo con la mia musica e con la mia storia», replica il 25 enne di origini tunisine. Il concerto non sarà l’occasione per una risposta al vicepremier. «Lo show è già di per sé quello che sta succedendo nel Paese. Non voglio elevarmi, ma quando mai è successo che un italiano, figlio di immigrati, con una famiglia che viene da quella che qualcuno chiama feccia, dai quartieri dove c’è stata la scintilla della rivoluzione araba, un ragazzo cresciuto da solo con mamma e un padre che non c’è, riuscisse ad arrivare qui?». In «Cara Italia», hit da 36 milioni di ascolti su Spotify, racconta di un Paese in cui l’idea dello straniero «alieno senza passaporto e in cerca di dinero» è ferma al medioevo e che la risposta al «vai a casa» che gli indirizzano i razzisti è «sono già qua». «Quando ero piccolo, in classe i colorati eravamo solo io, un filippino, un sudamericano e un cinese. Non ho subito, ma vedevo che c’era l’occhio diverso magari della ragazzina che preferiva giocare con gli italiani. Quando vedevo un’ingiustizia nulla mi consolava. Penso alla sensazione che prova un bimbo straniero a scuola oggi… È diversa. Adesso c’è Ghali. E anche se i molti bambini che mi seguono magari certe cose non le colgono spero di avergli messo un seme in testa». Lui e Sfera Ebbasta hanno portato in Italia la trap, nuovo filone rap che ha rivoluzionato le classifiche. «Sono partito da quel mondo, ma non mi basta. Ci sono giorni in cui mi sento parte della scena e altri in cui non lo sono». Forse gli va stretto l’immaginario raccontato da molti colleghi, quello fatto di soldi e moda, quello dei due Rolex al polso proprio di Sfera (che però potrebbe essere ospite nella data di Milano). «Io la foto con due Rolex non la farei mai. Ho amici che faticano a trovare lavoro. È un gesto che dice “io ce l’ho e tu no”». Il suo modello, anche negli abiti stilosi, è una star mondiale come Stromae. «È la dimostrazione che non ti devi omologare per avere successo, ma devi lavorare su te stesso. È la stessa strada che ho seguito io, ma anche molti della cosiddetta scena indie come Cosmo, Calcutta, Lo Stato Sociale». Si tratta di una generazione che ha svecchiato l’anagrafe del panorama musicale. «Era già vecchio… Il rinnovamento è qualcosa di ciclico e qualcosa di simile si era visto in passato. La prossima volta sarà più veloce. C’è più meritocrazia rispetto al passato: sali in cima e devi dimostrare di saperci restare, se non ci riesci è perché non te lo meriti». La botta definitiva alla popolarità potrebbe arrivargli da una partecipazione a Sanremo. «Non ne ho mai visto una puntata. Mi sorprende che ci sia questa attenzione e tutti mi chiedano del Festival. Però non ho mai visto nulla anche di X Factor».
Andrea Laffranchi, corriere.it