La predisposizione alle chiacchiere nella maratona tv del Tour

La predisposizione alle chiacchiere nella maratona tv del Tour

Maratona Tour. Da quest’anno, il Tour de France è visibile nella sua interezza, dalla partenza all’arrivo di ogni tappa. Per seguirlo tutto, non basta amare il ciclismo, bisogna avere molto tempo a disposizione e anche una certa predisposizione a sopportare le chiacchiere. Del resto, i telecronisti non potrebbero fare altro: Francesco Pancani e Silvio Martinello (più Beppe Conti e Alessandra De Stefano con il suo «Processo alla tappa») per la Rai e Salvo Aiello e Riccardo Magrini per Eurosport sono costretti commentare le immagini per ore e ore. Gli inviati Rai sono sul posto e dovrebbero maggiormente far partecipe lo spettatore dell’atmosfera della corsa, mentre i due di Eurosport s’arrabattano come possono, contando sulla competenza, su qualche battuta di spirito e sulla qualità delle immagini in Hd. Nelle prime tappe si poteva anche tentare qualche osservazione di stampo prettamente televisivo. Per esempio, i francesi usano il Tour per far vedere quanto siano affascinanti i luoghi che la carovana attraversa.

Certo, il territorio aiuta, ma le riprese sono così accurate da far pensare a un lungo lavoro di preparazione che al Giro d’Italia manca. Poi arriva il tappone, da Nantua a Chambery, e il ciclismo esplode in tutta la sua bellezza (e anche brutalità), travolgendo qualsiasi discorso specifico. Le riprese devono essere solo funzionali a quanto succede e le telecronache informare il più possibile.

Aru, a metà della salita finale, attacca Froome. Ha visto che questi stava chiamando l’ammiraglia per un problema meccanico? Nell’ultima parte della salita, lo stesso Froome rifila una gomitata ad Aru. Il gesto va registrato sotto la voce vendetta? E tutti quei paurosi incidenti? Maratona Tour. Molti protagonisti, tra cui Quintana, Contador, Richie Port, hanno già detto addio alla maglia gialla. Ogni tappa, dalla partenza al traguardo finale, sarà un lungo duello tra Froome e Aru, fra Sky e Astana.

Aldo Grasso, Corriere della Sera

 

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