Debutta la piece con Gallo, Rocca e Nappo, Gassmann alla regia
Alessandro Gassmann regista, Maurizio De Giovanni autore, con gli interpreti Massimiliano Gallo, Stefania Rocca, Monica Nappo e i giovani Paola Senatore e Jacopo Sorbini tutti in scena chiamati più volte a prendere applausi calorosissimi, alla fine di questo ”Il grande silenzio” che ha debuttato al Napoli Teatro Festival prima di intraprendere la prossima stagione una lunga tournée che sarà sicuramente uno straordinario successo.Il fortunato autore dei ”Bastardi di Pizzofalcone” ha infatti una facilità e felicità di scrittura come dimostrano costruzione, misura e scioltezza nel far nascere attraverso i dialoghi i personaggi di questa commedia borghese nonostante tutto realistica, molto sentimentale, venata di tragico e comico nell’affrontare problemi di coppia e genitori-figli molto comuni e coinvolgenti, oltre a far capire come i fantasmi che ognuno di noi si porta dentro siano più veri della realtà stessa. Protagonista è lo scrittore di grande successo Valerio Rimic (un Gallo straordinario nelle sfumature, nelle piccole gigionerie, insofferenze e intime fragilità che costruisce per il personaggio), che però non pubblica più nulla da venti anni e vive chiuso da sempre nel suo studio con una bella finestra su Napoli e tutto foderato di libri che tiene suddivisi ”per omogeneità emotiva” (bella scena imponente e concreta di Ginaluca Amodio), preso dal suo lavoro e estraneo a quel che accade in famiglia come alla conduzione organizzativa e economica della casa, tanto da non accorgersi che le cose stanno andando male e i soldi sono finiti. Nello studio ci sono due porte, una da cui entra l’altra protagonista del lavoro, la fedele cameriera Bettina (cui dà vitalità, verità e colore senza mai esagerare un’ottima Nappo), vera anima della famiglia, che ”i rumori di questa casa li sente tutti” e li interpreta col suo semplice buon senso e partecipazione sentimentale per il padrone presuntuoso, vanesio, egoista. Specie quando dall’altra porta comincia a irrompere la vita vera, visto che ”oramai è troppo tardi” e si pensa l’unica via d’uscita sia vendere la bella grande casa.Prima la moglie Rose (una Rocca assolutamente in parte tra sentimenti e frustrazioni), che gli rivela la situazione e lo accusa di disinteressarsi da sempre di quel che è accaduto e accade nelle altre stanze di casa; poi il figlio Massimiliano (un Sorbini che, unico, va sempre sopra le righe) che odia quel padre assente e quella stanza inaccessibile in cui è chiuso e inoltre gli rivela la propria omosessualità; quindi la figlia (una brava Senatore assolutamente credibile) che invece lo ha sempre ammirato talmente, anche come artista, da non sopportare la superficialità dei suoi coetanei e quindi capace di mettersi nei pasticci solo con uomini molto, molto più grandi di lei, anziani come il padre. La seconda parte si svolgerà quindi nella stessa stanza, ma oramai con i libri tutti inscatolati e ogni cosa pronta per il trasloco, mentre il grande scrittore riflette sui rapporti dei figli col padre, cominciando dal suo. Così, mentre il presente prende sempre più spazio e forza, i ricordi appaiono e svaniscono proiettati quasi evanescenti su un velatino (dove andrà anche un cammeo dello stesso Gassman). La casa è venduta, la crisi economica scongiurata, ma tutti si son trovati a doverci fare i conti e a scoprire che ci si deve impegnare per cercar di camminare con le proprie gambe, specie quando nessuno, nessun padre, te lo ha mai insegnato.Insomma, il maestro del giallo De Giovanni costruisce una serie di piccoli colpi di scena sino a quello sostanziale finale, d’effetto perché subdolamente giocato sul ricatto dei sentimenti verso lo spettatore e su quel ”Grande silenzio” del titolo, silenzio al centro di tante osservazioni sui solchi che scava tra le persone, nelle famiglie, se si rimanda sempre le cose che sarebbe invece necessario dirsi, come Bettina non ha mai smesso di far notare.
Paolo Petroni, Ansa