L’impegno per i diritti, there gli insegnamenti di sua nonna, clinic il rapporto con i figli. L’attrice spiega perché, dopo anni di lotte, si definisce “femminista e umanista”
Ci vuole un’icona per incarnare un’icona. Meryl Streep ha messo i suoi 40 anni di carriera, le 19 candidature e i tre Oscar al servizio della causa femminista. Scegliendo di interpretare Emmeline Pankhurst, la leader del movimento per il voto alle donne, nel film Suffragette di Sarah Gavron. E nel giorno della Festa della donna la diva, 66 anni, ci ricorda quanto ancora sia lunga la strada verso la parità e perché sia importante ricordare la battaglia delle donne inglesi per il suffragio. “Ho trovato stupefacente e irritante che sulla storia di questo movimento non fosse mai stato fatto un film. Mi piace che il punto di vista del racconto non sia quello del movimento e dei suoi capi ma quelle delle operaie dell’epoca, inserite in un contesto familiare e sociale che le vedeva svantaggiate. È stato bello far parte del film, anche in un piccolo ruolo”.
Cosa ha scoperto studiando il movimento?
“La più grande scoperta, di cui ero davvero inconsapevole, ha a che fare col sistema della classi sociali del Regno Unito, che non è così familiare per gli americani. Tra le cose che più facevamo infuriare il Parlamento, il Governo c’era il fatto che si trattava di un movimento trasversale tra le classi: anche per questo è stato così duramente represso: che operaie e donne istruite si unissero per cambiare la società era inaccettabile”.
Come reagiranno al film le ragazze che oggi alcuni diritti li danno per acquisiti?
“La mia sensazione è che ci sia un problema di abbondanza. Se godi dei diritti e sei in una posizione privilegiata pensi che sì, forse la lotta non è conclusa ma le cose vanno abbastanza bene. Diventi pigro e compiacente, non guardi quanto sia stato difficile ottenere questi diritti, quali prezzi siano stati pagati. Molte giovani donne sentono di aver raggiunto le posizioni di potere e di essere sulla strada per averne ancora di più, perciò pensano: “è sbagliato fare questo tipo di polemica”. Ma quelle di noi che sono più anziane (ride) ricordano bene come fino a poco tempo fa le porte di molte professioni erano sbarrate per noi. Negli anni Settanta c’erano poche donne medico, e avvocati. Rare quelle negli affari, a parte le segretarie. E ancora ci sono tante donne nel mondo che vivono come fossero nel Novecento”.
Emmeline Pankhurst a sette anni sentì il padre dire alla madre “se solo fosse maschio…”. Quando lei ha capito che c’erano differenti schemi di regole per femmine e maschi?
“Sono diventata consapevole presto. Da bambina, ero una ragazzina molto attiva e avrei voluto frequentare molti sport. Ma non c’erano sport per le ragazze. C’erano programmi organizzati e i miei fratelli facevano baseball, football. Io andavo con la famiglia a sedere in gradinata a fare la spettatrice o, più tardi, la cheerleader. Ho capito che non c’era aspettativa nè interesse nel fatto che io scendessi in campo. E più tardi, al College, spesso si era separati e c’era una grande differenza nella percezione dell’istruzione a seconda se fosse in una scuola maschile o femminile”.
Quale insegnamento ha ricevuto da sua madre e da sua nonna?
“Penso spesso a questo. Mia nonna era una persona molto influente nella mia vita, molto intelligente. Aveva cinque figli che sono stati ben allevati e istruiti. E tuttavia a lei non è stato permesso di votare. Quando aveva tre figli doveva andare al campo da golf da mio nonno e mettergli un foglietto in mano, guidarlo fuori dalla nona buca per dirgli: “Devi andare e votare per queste persone». Non erano le elezioni per la Presidenza o per il Senato, lei era interessata al consiglio scolastico, perché l’educazione dei suoi figli era importante. Ma non era ritenuta competente, dal punto di vista emotivo o intellettuale, a fare questo tipo di scelta. Così doveva mandare il marito. Non ho mai scordato questa storia. Mi ha anche segnato un fatto legato a mia madre: la sentivo, dalla mia camera da letto, chiedere a mio padre i soldi per comprarci le scarpe. Pensavo: “Perché deve chiedere a lui i soldi se sono sposati? Mio padre lavorava fuori casa, mia madre era un’artista pubblicitaria che lavorava a casa e guadagnava meno. Ma sembrava ingiusto in una coppia dover chiedere per tutto. Così ho giurato a me stessa che io non avrei mai dovuto chiedere soldi a un uomo”.
Per quanto riguarda le sue figlie?
“Oh, le mie figlie rientrano nella categorie delle giovani di cui parlavamo prima. Anche se ho insistito molto per renderle consapevoli, se non sperimenti sulla tua pelle le privazioni e gli ostacoli che subisci a causa del tuo sesso è difficile aver profondamente a cuore ciò che è stato. Le mie ragazze e mio figlio sono consapevoli, solo che non lo sentono nel modo in cui l’ho vissuto io, sulla mia pelle”.
E’ importante educare i figli maschi alla parità.
“Sì. È triste che oggi si pubblicizzano i film per i diversi mercati “Questo è un film per ragazze” o “ai ragazzi piacerà questo film”. E invece davvero dovremmo cercare di vedere ciascuno i film dedicati all’altro, come gli articoli sui giornali e sulle riviste per capire più degli altri, attraversare le barriere del sesso, ogni barriera, per comprenderci”.
La battaglia per i diritti di genere è più rilevante che mai, oggi.
“Sì. Come sa negli Stati Uniti a noi piace caratterizzare la gente, e questo può essere molto limitante. Non mi piace farlo, perché mi sento molto legata a tutta la famiglia umana. Sì, io sono una femminista ma anche una umanista. Voglio che ognuno di noi abbia una partecipazione nel futuro dell’altro. Per quarantamila anni la società è stata organizzata intorno a una vecchia gerarchia. Ma i progressi biologici, tecnologici, i movimenti sociali hanno cambiato questa struttura di potere. È iniziato alla fine del Novecento, ma il cambiamento è successo durante le nostre vite. Sappiamo che le società in cui le donne hanno spazio in politica, cultura, economia sono più pacifiche e armoniose. Questo è il tipo di mondo che noi dobbiamo creare. Perciò ecco perché penso che l’eguaglianza di genere non è la frase giusta. Basta parlare di equilibrio, l’equilibrio nel mondo è ciò di cui abbiamo davvero bisogno”.
Nella sua carriera ha dato voce a tante donne fuori dagli stereotipi.
“I personaggi stereotipati li ho scelti solo quando ci raccontavano qualcosa. Per esempio in La morte ti fa bella interpretavo un personaggio stereotipato ma molto divertente. Anche se c’era molto green screen, non mi eccita l’idea di lavorare con questa tecnologia piuttosto noiosa. Sono sempre alla ricerca di una buona sceneggiatura, cerco personaggi diversi l’uno dall’altro ma che abbiano dentro qualche aspetto di me, in modo da entrarci in empatia”.
Si è mai sentita responsabile nei ruoli scelti, nel fatto di essere una personalità pubblica sotto i riflettori?
“Se pensassi troppo a tutte queste cose, non sarei più in grado di lavorare. Cerco di non prestarci troppa attenzione. Non sono presente sui social media, cosa che aiuta. Non ho account Twitter o Facebook. Se devo comunicare con qualcuno alzo il telefono e chiamo. Una volta scelto un progetto lavoro come se la mia vita dipendesse da questo finchè non arriva una cosa nuova”.
Da presidente di giuria a Berlino ha consegnato l’Orso all’italiano Gianfranco Rosi.
“È stata una grande esperienza, ringrazio Gianfranco per aver regalato al mondo un film come Fuocoammare. E ho incontrato una meravigliosa italiana, Alba Rohrwacher. E’ divina e ieri mi ha mandato una grande foto del poster di Suffragette; il mondo è piccolo. Amo l’Italia, Bologna la mia città preferita, la conosco bene perchè mia figlia ha fatto l’università lì. Ci abbiamo passato anche il più bel Giorno del Ringraziamento nella storia della nostra famiglia”.
di Arianna Finos, La Repubblica